12 Dicembre 2014

Fatture false: le dichiarazioni del fornitore non sono prova

di Leonardo Pietrobon
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In tema di accertamento basato sulle c.d. fatture per operazioni inesistenti si sono recentemente pronunciate la
Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, con la sentenza n. 551/08/14, e la
Corte di Cassazione con la sentenza del 05.12.2014 n. 25779, trattando in entrambi i casi la validità delle “fonti di innesco” delle operazioni inesistenti.
In particolare, la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo ha tratto la citata questione fondata sulle
dichiarazioni rilasciate da terzi, la quale, in estrema sintesi, ha affermato che
la sola confessione rilasciata dal fornitore, che abbia riconosciuto di aver emesso delle fatture false
non gode dei requisiti di gravità previsione e concordanza, come invece richiesto dall’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973. A parere dei giudici bergamaschi,
tale elemento – la confessione del fornitore – deve essere
accompagnata da altri ed ulteriori elementi probatori.
Nel caso concreto, la verifica condotta dalla Guardia di Finanza competente prende avvio dalle dichiarazioni rese dal titolare di una ditta individuale che prestava la propria opera a favore di una società, secondo cui le
fatture emesse a favore di questa società risultavano essere
gonfiate, ma per le quali
i pagamenti avvenivano in modo integrale, salvo poi procedere con l’effettuazione di alcuni prelievi al fine di
restituire l’eccedenza concordata con la società committente.
A parere della Guardia di Finanza, l’ammissione fatta dal titolare dell’impresa individuale era da assimilare ad una
confessione ex art. 2730 Cod. Civ., ossia “
la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti a essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte”, qualificando la stessa prova, sulla quale sono stati poi emessi gli avvisi di accertamento.
A parere della C.T.P. di Bergamo, come anticipato,
gli avvisi di accertamento devono essere annullati, in quanto “
nessun altro elemento, riscontro o indagine anche bancaria
, risulta a carico dei ricorrenti”. Di conseguenza, a parere dei giudici bergamaschi, “
si deve concludere per l’insussistenza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza”, atteso che
le dichiarazioni del fornitore non sono sufficienti, da sole, a legittimare l’accertamento.
In riferimento alla dichiarazione rilasciata dal fornitore, a parere della C.T.P. di Bergamo la stessa
non può essere configurata come una vera e propria confessione, in quanto il fornitore ha in tal modo dichiarato di aver percepito “guadagni inferiori al reale, con la conseguente minor tassazione”. Di conseguenza, ancora a parere dei giudici di primo grado, non si può sostenere che egli abbia rappresentato una verità “a esso sfavorevole”, come richiesto dal già citato art. 2730 Cod. Civ.. Di contro, la stessa dichiarazione non appare nemmeno “favorevole all’altra parte”.
Ancora più incisive risultano essere le conclusioni a cui è giunta la
Corte di Cassazione con la sentenza n. 25779 del 05.12.2014.
In primo luogo i supremi giudici affermano che il precedente orientamento della stessa Corte di Cassazione, secondo cui l’Amministrazione finanziaria, a fronte di una regolare fattura, poteva limitarsi a
contestare l’inesistenza delle operazioni, manifestando così
l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, risulta essere
superato. Sulla base di tale impostazione, quindi, nel caso in cui siano contestate
operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a
dimostrare, anche mediante l’utilizzo di presunzioni semplici, che le operazioni oggetto di contestazione
non sono state effettuate del tutto o in parte. Nel caso in cui l’oggetto della contestazione siano operazioni
soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione deve dimostrare
che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, utilizzando l’ordinaria diligenza di un operatore del settore, che quelle operazioni si inserivano in un’evasione commessa dal fornitore.
In secondo luogo, con riferimento all’
aspetto probatorio, la Corte di Cassazione afferma che nel caso in cui sussista la
regolarità documentale delle operazioni (la regolarità delle fatture passive, l’esistenza dei pagamenti delle stesse, la loro registrazione in contabilità) la stessa
Amministrazione finanziaria
non può contestare le stesse operazioni
con elementi presuntivi, privi degli elementi di gravità, precisione e concordanza. Su tale aspetto, i giudici della suprema Corte hanno stabilito che sia gli
elementi indiziari privi dei citati requisiti di gravità precisione e concordanza, se supportati da ulteriori elementi di prova, e
sia le presunzioni semplici qualificate sono
validi a costituire una prova completa ed autosufficiente, secondo il discrezionale apprezzamento del giudice.