1 Ottobre 2015

Fabbricati D: IMU e TASI da ricalcolare sulla rendita definitiva

di Fabio Garrini
Scarica in PDF

La base imponibile dei fabbricati è mediamente quella più semplice da gestire nella determinazione di IMU e TASI: normalmente si fa riferimento alla rendita catastale che, salvo interventi sugli immobili, rimane costante nel tempo. Ciò premesso, va ricordato che vi sono però anche alcune situazioni che presentano un certo grado di complicazione da gestire.

 

Quando applicare il metodo contabile

Un caso problematico è relativo ai fabbricati di categoria catastale D (normalmente gli opifici industriali, ma non solo) che, in assenza di rendita sin dall’origine, richiedono l’applicazione del metodo contabile: secondo quanto stabilito dall’art. 5 c. 3 del D.Lgs. 504/92, la base imponibile è determinata con riferimento ai valori contabilizzati di acquisto / incremento dell’immobile, a cui applicare specifici coefficienti di rivalutazione approvati ciascun anno (per il 2015 occorre riferirsi al DM 25.3.2015). Si tratta di un metodo oggi residuale visto che da almeno 15 anni, al momento dell’accatastamento, viene immediatamente annotata agli atti una rendita (tramite procedura DocFa) proposta dal contribuente che, se non rettificata, diviene definitiva. Sono quindi interessati dal metodo contabile gli accatastamenti molto risalenti (ante introduzione del DocFa) con attribuzione recente di rendita.

Ma vi è anche un caso, erroneamente trascurato, che pure oggi potrebbe richiedere l’impiego di tale criterio alternativo nella determinazione della base imponibile: si tratta dell’utilizzo dell’immobile prima del suo accatastamento. L’art. 5 c. 6 del D.Lgs. 504/92, applicabile anche a IMU e TASI in ragione di esplicito rinvio, afferma infatti che “In caso di utilizzazione edificatoria dell’area,  […] la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell’articolo 2, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato”.

Pertanto, se vi fossero rallentamenti burocratici nella dichiarazione di completamento del fabbricato (e relativo accatastamento) e nel frattempo l’immobile fosse comunque utilizzato, per tale periodo andrebbe utilizzato il metodo contabile per la determinazione della base imponibile.

 

Metodo provvisorio

Quando si configura la fattispecie in commento, è necessario identificare con precisione l’intervallo temporale entro i limiti del quale è necessario utilizzare il criterio contabile di determinazione della base imponibile.

Sul punto il Ministero delle finanze con la RM 144/E/97 si è espresso chiarendo che il criterio in esame è tassativo non solo fino all’anno di imposizione nel corso del quale viene attribuita ed iscritta agli atti la rendita catastale, ma anche, quando venga annotata negli atti catastali stessi la “rendita proposta” con procedura DocFa. I successivi chiarimenti ministeriali sono tornati sul punto ribadendo tale posizione (RM 27/E/98 e RM 35/E/99): a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello nel corso del quale è stata attribuita la rendita catastale o è stata annotata la “rendita proposta”, il valore dei fabbricati deve essere determinato, non più sulla base dei costi contabilizzati, bensì sulla rendita catastale.

Inoltre, nella RM 27/E/98 era stato affermato come il passaggio dal valore contabile a quello catastale non potesse in ogni caso avere effetto retroattivo su annualità pregresse, in quanto metodo alternativo e definitivo. Ciò significava che:

  • il minor valore catastale rispetto a quello contabile non può dar luogo a rimborsi d’imposta in favore del contribuente;
  • il maggior valore catastale rispetto a quello contabile non può dar luogo a recuperi d’imposta da parte del Comune.

Si segnala comunque che tale interpretazione è stata superata da una presa di posizione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. 3160/2011 SS.UU.) che ha completamente cambiato l’approccio che occorre utilizzare nel valutare la decorrenza degli effetti della rendita attribuita: il metodo delle scritture contabili, anche se correttamente applicato al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla norma, deve comunque considerarsi provvisorio. In tale pronuncia si afferma infatti che “l’anno” da cui decorre l’efficacia della rendita deve identificarsi in quello nel quale il titolare del diritto sul fabbricato ha chiesto all’Ufficio competente di attribuire all’immobile la rendita catastale. Quindi, una volta attribuita, tale rendita andrebbe a retroagire sino alla data dell’accatastamento dell’immobile, con la conseguenza che l’imposta pagata sulla base dei valori contabili risulta corrisposta in via esclusivamente provvisoria, in attesa della liquidazione definitiva, da compiere attraverso la rendita catastale attribuita.

La conseguenza di tale posizione è quindi la seguente:

  • se la rendita fosse maggiore del valore contabile dichiarato, al Comune spetta il diritto al recupero dell’imposta corrispondente, nel termine quinquennale stabilito dall’art. 1 c. 161 della L. 296/06.
  • se al contrario la rendita fosse inferiore al valore contabile dichiarato, il contribuente ha diritto a presentare istanza di rimborso, secondo i termini stabiliti dall’art. 1 c. 164 della L. 296/06, ossia cinque anni “dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione”. Poiché in questo caso il diritto alla restituzione viene acclarato con l’attribuzione della rendita, pare lecito concludere che tale termine debba essere computato dalla data in cui il contribuente viene in possesso di tale rendita (data di notifica, ovvero presentazione del DocFa).

Da notare che, posto come tali fabbricati abbiano rendite mediamene molto elevate, conseguentemente le somme in gioco sono davvero significative.