29 Giugno 2015

Esiste un valore dell’area per i fabbricati non cielo terra?

di Giovanni Valcarenghi
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Nonostante il termine “canonico” di approvazione e deposito dei bilanci sia ormai spirato, riteniamo utile tornare per un momento sulla tematica dello scorporo delle aree, alla luce delle indicazioni operative fornite dal CNDCEC in analisi alle novità contenute nel nuovo documento OIC 16, applicabile ai bilanci dell’esercizio chiuso al 31-12-2014.

La vicenda che più interessa è, innanzitutto, l’esistenza o meno di un discrimine tra differenti tipologie di fabbricati in relazione all’applicazione del principio generale di cui al punto 2) dell’articolo 2426 del codice civile.

La citata regola prevede che “il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”.

Poiché il terreno non ha una utilizzazione limitata nel tempo, risulta corretto non effettuare l’ammortamento. Da qui l’ulteriore passo, sempre altrettanto noto, in forza del quale appare necessario effettuare la separazione tra “fabbricato” e area anche a livello contabile.

Tale separazione, infine, richiede la determinazione del valore del terreno in relazione al momento iniziale dell’acquisto e non alla data di riferimento del bilancio a cui si effettua lo scorporo; diversamente operando si realizzerebbe una rivalutazione non consentita dal Codice civile.

Non è tuttavia richiesta la predisposizione obbligatoria di una perizia di stima, essendo possibile una quantificazione in modo oggettivo e attendibile, seguendo qualsiasi criterio possa essere ritenuto confacente al caso di specie.

Questi principi sono sostanzialmente noti ed acquisiti; meno chiaro, invece, è l’eventuale esistenza di fabbricati che possano legittimamente ritenersi esclusi dal ragionamento.

Innanzitutto sovviene la casistica del fabbricato non cielo terra.

In sostanza, vi sono differenze nell’applicazione delle regole dello scorporo tra (ad esempio):

  • un capannone industriale (c.d. fabbricato cielo –terra),
  • un ufficio che si trova inserito in un condominio (c.d. fabbricato non cielo-terra)?

La vicenda deve essere valutata esclusivamente in ambito contabile, poiché l’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di affermare che, in ambito tributario, le due ipotesi sono tra loro perfettamente identiche.

Tale identità, invece, potrebbe non sussistere per il codice civile.

Il documento del CNDCEC, al riguardo, afferma testualmente:

  • per i fabbricati cielo/terra occorre procedere allo scorporo del terreno, in quanto quest’ultimo non può essere più ammortizzato;
  • per i fabbricati non cielo/terra si ritiene che lo scorporo sia egualmente possibile se ritenuto corretto.

L’affermazione appare alquanto laconica, nel senso che si limita ad ammettere lo scorporo qualora lo si ritenga corretto; il tutto, però, finisce con restare limitato ad un gioco di parole.

Di ausilio, invece, risulta il richiamo citato in apposita nota esplicativa, ove si richiamano le affermazioni contenute nel documento OIC “Guida operativa per la transizione ai principi contabili internazionali IAS/IFRS (ottobre 2005)”.

Nel documento si ha modo di apprendere che “nessuno scorporo è necessario se il fabbricato di proprietà consiste in una quota parte del fabbricato (in genere, un appartamento), in quanto, in tal caso, l’impresa non possiede (anche) un terreno sottostante (questo, ovviamente, nell’ipotesi in cui la quota parte costituisce una frazione minore del fabbricato)”.

Tale affermazione, peraltro, anche se relativa ai soggetti IAS/IFRS, è da ritenere applicabile anche ai bilanci redatti secondo le norme del codice civile, per indicazione dello stesso documento dell’OIC.

Il nuovo principio OIC 16, al riguardo, nulla dice.

A noi pare, tuttavia, che l’affermazione contenuta nella citata guida del 2005 sia di estremo buon senso ed eviti di ricorrere a delle stima di natura forzata e poco sostenibili.

Infatti, quale sarà mail il legittimo criterio da utilizzare per evidenziare il valore dell’area su cui insiste un ufficio inserito in un condominio?

Si dubita che la soluzione logica sia quella suggerita dall’Agenzia delle Entrate in merito allo scorporo di natura fiscale, applicabile in modo eguale a prescindere dalla diversità oggettiva delle due ipotesi evidenziate.

Nella realtà si crede maggiormente corretta una conclusione tesa a sostenere che, nel caso specifico, pur potendosi giuridicamente ritenere che il proprietario dell’ufficio in condominio sia proprietario di una frazione dell’area determinata per millesimi di proprietà, non sussiste alcun valore dell’area vera e propria, con la conseguenza che l’intero valore dovrà essere civilisticamente ammortizzato (restando comunque l’onere della ripresa fiscale della quota parte di ammortamento non deducibile, nel quadro RF di Unico).

In sostanza, dovrebbe prevalere la sostanza sulla forma, così come dovrebbe accadere nel caso dei posti auto.

Si pensi, infatti, al caso di un immobile accatastato come C/6, consistente esclusivamente in uno spazio delimitato da linee bianche su un piazzale (non ci si riferisce, dunque, al caso del box vero e proprio).

In tale ipotesi, l’intero valore dell’immobile dovrebbe essere iscritto al terreno, mancando qualsiasi tipo di edificazione sul medesimo, se si esclude lo strato di asfalto (o altra pavimentazione che lo ricopre).

Pertanto, contrariamente alle conclusioni tratte per il fabbricato non cielo terra, in questo caso dovrebbe essere sospeso ogni tipo di ammortamento.

Così ricostruita la vicenda, sembrano potersi accontentare tutte le differenti impostazioni adottate nel caso di fabbricato non cielo-terra:

  • chi ha scorporato, ha il supporto del documento del CNDCEC;
  • chi non ha scorporato, ha il supporto del ragionamento di cui sopra (se condiviso) che appare parimenti logico, se non addirittura maggiormente fondato.