12 Aprile 2014

Esiste un limite per il TFM?

di Giovanni Valcarenghi
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La chiusura dei conti dell’anno 2013 ripropone una riflessione tipica di questi periodi, in quanto attinente le scritture di assestamento: esiste un limite quantitativo per la deduzione dell’accantonamento per trattamento di fine mandato dei collaboratori, tra cui anche gli amministratori?

Innanzitutto, vale la pena di ricordare che la deduzione della posta è, secondo l’ottica dell’Agenzia, subordinata all’esistenza di un atto con data certa (antecedente all’entrata in carica dell’organo amministrativo) da cui si desuma il diritto del collaboratore a maturare l’accantonamento; la specifica misura, invece, è solitamente demandata (ove non già indicata nell’atto di cui sopra) alla quantificazione da parte dell’assemblea dei soci. Diversamente, la dottrina ritiene che la condizione richiesta sia utile solamente alla applicabilità della tassazione separata al percettore al momento della erogazione effettiva delle somme.

Ipotizzando di ragionare, per comodità, su una posizione in cui sussistano tutti i requisiti “formali” richiesti dalla amministrazione, concentriamoci sul reale problema: esiste una misura oltre la quale la deduzione può essere negata? Ed anche, può esistere un accantonamento per TFM a favore di un amministratore privo di compenso?

Le situazioni emergono per la semplice circostanza che la posta in parola è rimasta l’unica deducibile in capo alla società senza che vi sia applicazione di tassazione in capo all’amministratore; quindi, si ottiene un beneficio fiscale senza alcun esborso finanziario.

Secondo alcuni, dovrebbe adottarsi, in via cautelativa, un parametro analogo a quello previsto per il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, cioè rapportato al compenso globale annuo. Un’argomentazione in tal senso sembrerebbe potersi desumere dal comma 4 dell’art. 105 del TUIR, il quale stabilisce che le disposizioni che disciplinano la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza per il personale dipendente valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 comma 1, lett. c, d ed f . Tale chiave interpretativa, insomma, sembra ricondurre l’accantonamento in questione alle medesime limitazioni previste per il lavoro subordinato.

Per altro verso, invece, si potrebbe riconoscere come eccessivamente restrittiva questa ricostruzione; la Cassazione e la stessa Amministrazione finanziaria avrebbero, in realtà, riconosciuto al trattamento di fine mandato una natura diversa dal trattamento di fine rapporto. Lo stesso, infatti, non risulta disciplinato, sotto il profilo civilistico, da nessuna norma ed è derogabile avendo natura pattizia. Inoltre, ad esso, come anche per la parte non differita dei compensi degli amministratori, non è applicabile la tutela prevista dall’art. 36 Costituzione.

Che fare, allora, quando il compenso dell’amministratore non esiste oppure esiste in misura limitata? Secondo il primo orientamento il TFM dovrebbe essere altrettanto assente oppure limitato, mentre secondo l’altra chiave di lettura potrebbe tranquillamente esistere.

Mancando qualsiasi presa di posizione ufficiale, a noi piace più aderire alla seconda tesi sopra esposta, vale a dire quella che sostiene la assoluta indipendenza del TFM rispetto al compenso; ciò anche per il fatto che il diritto alla maturazione del trattamento spesso risulta previsto direttamente dall’atto costitutivo della società e, assumendo la carica di amministratore, il soggetto potrebbe farvi legittimo affidamento. Se civilisticamente esiste la posta, la deduzione fiscale della stessa dovrebbe essere assicurata per effetto del principio di derivazione.

Che poi si possa argomentare sulla possibilità dell’Agenzia di sindacare l’ammontare della posta (ritenendola eccessiva e sproporzionate) è questione che non ci sorprende affatto, essendo una deja vu per quanto attiene la deduzione del compenso vero e proprio.