11 Aprile 2014

È reddito agrario la cessione dei diritti di impianto dei vigneti

di Luigi Scappini
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È di questi giorni la notizia che la Commissione europea non abbia preso posizione sull’introduzione, a sorpresa, nel contesto della riforma dell’Ocm (Organizzazione comune di mercato) unica, del divieto di commercializzazione dei diritti di impianto dei vigneti per i Paesi che opteranno per la proroga, fino al 2020 del regime attualmente vigente.

Il sistema dei diritti di impianto è stato introdotto, al pari di quello forse più famoso delle cd “quote latte”, dalla Comunità europea al fine di regolamentare il mercato interno e, soprattutto, di ridurre l’offerta.

Sta di fatto, che i “diritti di impianto o di reimpianto” oggi sono oggetto di vaste contrattazioni e il loro valore si è incrementato in misura più che esponenziale.

I diritti di reimpianto consistono nel diritto concesso ad un produttore di piantare viti su di una superficie speculare, in coltura pura, a quella in cui vi è stata un’estirpazione, da intendersi come eliminazione integrale dei ceppi.

La concessione del diritto di reimpianto è subordinata all’effettiva estirpazione del terreno o all’impegno a farlo entro e non oltre la terza campagna successiva a quella in cui vi è stato il nuovo impianto.

La mobilità dei diritti di reimpianto di vigneti non è vincolata al terreno cui si riferiscono e, quindi, è attuabile una libera circolazione degli stessi indipendentemente dal territorio in cui è avvenuta la connessa estirpazione.

La domanda che ci si pone è se la cessione dei suddetti diritti sia classificabile quale reddito agrario oppure debba essere tassati in base ad altri categorie reddituali previste dal Tuir, con l’anticipazione che l’indagine vale non solo per i diritti di impianto ma anche per le quote latte.

L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 51/E del 4 aprile 2006 ha avuto modo di affermare che la cessione dei diritti di reimpianto e di quote latte, messa in atto da produttori agricoli che determinano il reddito su base catastale, ex artt. 32 e seguenti del Tuir, deve sempre essere tassata come reddito agrario.

Infatti, la ratio dell’istituto ne fa comprendere la sua imprescindibilità per un esercizio legittimo dell’attività agricola, con conseguente classificazione di detti diritti nella categoria dei beni immateriali. In senso conforme si è espressa anche la CTP di Vercelli con la sentenza n.41/2/10 in riferimento specifico alle quote latte. In particolare i giudici hanno riconosciuto il carattere di strumentalità di tali diritti con la conseguenza che la loro cessione, sia a titolo definitivo che temporaneo, si configura alla stregua della cessione di un bene immateriale dell’azienda agricola.

I giudici proseguono affermando come “…trattandosi di una cessione strumentale all’esercizio ordinario dell’agricoltura, perché strettamente collegato allo sfruttamento del terreno, i proventi che ne derivano non assumono autonoma rilevanza quale ricavo derivante dall’esercizio dell’impresa, né come plusvalenza tassabile, ma ricadono nel reddito agrario, stimato catastalmente a norma dell’articolo 32 del Tuir.”.

Di segno opposto, invece, la sentenza n.6 del 15 febbraio 2006 della CTR di Bologna, di poco anteriore alla risoluzione n. 51/E/06 che ha classificato come reddito diverso ex art.67, comma 1, lettera l), del Tuir.

Nell’individuazione del corretto trattamento tributario da riservare a tali cessioni, non bisogna dimenticare le ragioni che hanno condotto alla determinazione su base catastale del reddito dei terreni.

La tassazione del reddito agrario sulla base del “reddito medio ordinario” al posto di quello reale ed effettivo ha natura sicuramente agevolativa, stemperata, anche per non prestare il fianco a possibili eccezioni in tema di aiuti di Stato, dalla circostanza che il mancato rispetto di ben precisi parametri comporta la riconduzione del reddito tra quelli di impresa.

E, allora, poiché la tassazione del reddito agrario si basa su di un regime forfetario che non prende in considerazione i reali costi sostenuti dall’imprenditore ed i ricavi ottenuti dallo stesso, non si vede per quale motivo dovrebbero rilevare i redditi conseguiti in forza della vendita di diritti posseduti dallo stesso contribuente e necessari per poter ottenere simile tassazione “agevolata”.

A questo si deve aggiungere l’ulteriore circostanza che, come del resto ricordato anche dalla risoluzione n.51/E/06, l’eventuale costo sostenuto per l’acquisizione del diritto non può essere dedotto, con la conseguenza che per aversi una perfetta simmetria, la successiva cessione non dovrebbe essere fatta concorrere a tassazione.

Al contrario, le società che determinano il reddito quale differenza costi/ricavi, vedrebbero, a parità di costo e di ricavo con riferimento al diritto, tassato un importo inferiore derivante dalla differenza del valore fiscalmente non ancora ammortizzato ed il valore di vendita.

In conclusione, i proventi derivanti dalla cessione di quote latte e di diritti di reimpianto di vigneti costituiscono reddito agrario sulla base del presupposto che il reddito agrario, “neutralizzando” i costi ed i ricavi inerenti all’attività agricola, considera detti diritti “inglobati” nel reddito medio ordinario ritraibile dai terreni.