25 Gennaio 2014

Donazioni estere a fiscalità incerta

di Ennio Vial
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Il regime fiscale di una donazione effettuata all’estero appare tutt’altro che pacifico e lineare. Va innanzitutto premesso come la disciplina relativa all’imposta di donazione debba essere attentamente valutata alla luce del criterio di territorialità.

Infatti, l’art. 2 del D.lgs. 346/1990 delimita territorialmente la pretesa impositiva italiana in base alla residenza del donante alla data della stipula dell’atto di donazione. In sostanza, se il donante è residente in Italia, l’imposta sarà dovuta in relazione a tutti i beni e i diritti trasferiti ovunque situati mentre, se alla data della donazione il donante non è residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti oggetto della donazione.

Di primo acchito, si potrebbe sostenere che se il donante è non residente e i beni si trovano all’estero, non sussistono profili impositivi in capo al donatario italiano.

Bisogna tuttavia prestare attenzione a due ulteriori norme che entrano in gioco. In primo luogo l’art. 55 co. 1 del D.lgs. 346/1990 stabilisce che gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del Testo Unico sull’imposta di registro, concernenti gli atti da registrare in termine fisso.

Prima delle modifiche normative introdotte dalla legge n. 342 del 2000, di cui diremo appresso, risultavano soggetti a registrazione “gli atti indicati nella tariffa se formati per iscritto nel territorio dello Stato italiano (art. 2, primo comma, lett. a), del D.P.R. 131 del 1986) e quelli formati all’estero che comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato e quelli che hanno per oggetto la locazione o l’affitto di tali beni (art. 2, primo comma, lett. d), del d.p.r. 131 del 1986)”.

In sostanza, se il donante è non residente e l’atto è fatto all’estero, la registrazione e la conseguente tassazione in Italia riguardava solamente atti aventi ad oggetto immobili ed aziende. Tutte le altre donazioni sfuggivano a tassazione in Italia.

Sul punto si ricorda la storica introduzione del comma 1-bis all’art. 55 ad opera dell’art. 69, co. 1, lett. n) L. n.342/2000 il quale, a far data dal 1° luglio 2000, prevede la soggezione a registrazione in termine fisso anche degli atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indirette “formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato. Dall’imposta sulle donazioni determinata a norma del presente titolo si detraggono le imposte pagate all’estero in dipendenza della stessa donazione ed in relazione ai beni ivi esistenti, salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni.”

Purtroppo, la norma non brilla per chiarezza e lo studio del Notariato n. 194/2009 recupera 4 profili interpretativi senza però slanciarsi in modo definitivo a favore di uno di essi.

Secondo la prima tesi, il comma 1 bis amplia il presupposto impositivo nel senso che se il beneficiario è italiano allora l’imposta scatta sempre.

In sostanza, l’imposta si applicherebbe a tutte le donazioni dirette e indirette:

  1. risultanti da atti formati sia in Italia che all’estero ed indipendentemente dalla residenza del beneficiario nell’ipotesi di donante residente nel territorio dello Stato;
  2. risultanti da atti formati sia in Italia che all’estero, in caso di donante non residente in Italia e donatario residente nel territorio dello Stato;
  3. aventi ad oggetto beni e/o diritti esistenti nel territorio dello Stato nell’ipotesi di donante e donatario non residenti nel territorio dello Stato.

Per sfuggire alla tassazione bisogna che sia il donante che il donatario siano non residenti e che i beni non si trovino in Italia. Lo studio del Notariato si sbilancia prendendo le distanze in quanto l’ambito applicativo dell’imposta di donazione ne risulterebbe di fatto esteso in modo abnorme.

Secondo una diversa tesi, il comma 1-bis sostituisce il criterio della residenza del donante con quella del beneficiario ed abroga implicitamente le parti dell’art. 2 incompatibili. Il criterio oggettivo dell’esistenza dei beni o diritti del territorio dello Stato fissato dall’art. 2 si rivelerebbe quale criterio sussidiario e “potrebbe continuare ad operare, ove manchi la residenza in Italia del beneficiario”.

In sostanza, mentre secondo il primo approccio il criterio del beneficiario si somma agli altri, secondo questo diverso orientamento il criterio del beneficiario si sostituisce a quello della residenza del donante.

Anche questa tesi viene però criticata in quanto la territorialità legata alla residenza del beneficiario non è puntualmente definita dalla norma e contrasta col criterio diffuso in molti Stati che si orientano verso la residenza del donante.

Secondo una terza tesi il comma 1-bis integra la previsione normativa dell’art. 2, individuando, per le donazioni stipulate all’estero, un’ulteriore condizione per la tassabilità costituita dalla residenza del beneficiario.

Alla luce di questi criterio, per le donazioni formate in Italia, resta fermo il criterio soggettivo della residenza del donante (oltre, ovviamente, al criterio oggettivo relativo ai beni siti in Italia) mentre per le donazioni formate all’estero il criterio soggettivo è quello della contemporanea residenza del donante e del donatario.

Secondo una quarta tesi, il comma 1-bis non amplia l’ambito territoriale di imponibilità dell’imposta sulle donazioni, limitandosi ad estendere l’obbligo di registrazione degli atti di donazione formati all’estero.

La norma assolverebbe pertanto ad una funzione meramente antielusiva impedendo che sfuggano all’imposta le donazioni compiute volontariamente all’estero – qualora già non siano soggette a registrazione secondo le norme proprie di questa – se il beneficiario sia residente in Italia.

In questo modo non si alterano i tratti essenziali della tassazione fissati dall’art. 2. Pertanto, seguendo questo ultimo approccio, la tassazione opera soltanto se il donante risiede in Italia, oppure, in caso diverso, siano esistenti beni in Italia.