13 Marzo 2017

Il domicilio nell’individuazione della residenza del soggetto black list

di Marco Bargagli
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A livello domestico l’articolo 2, comma 2, del Tuir prevede che: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

Quindi la persona fisica che, per la maggior parte del periodo d’imposta (generalmente 183 giorni), risulta essere iscritta presso l’anagrafe dei cittadini residenti (requisito formale), ossia ha stabilito il proprio domicilio o la propria residenza sul territorio nazionale (requisiti sostanziali alternativi) sarà considerato residente in Italia, dove sarà tenuto a pagare le tasse per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al c.d. worldwide principle.

Per contrastare la fittizia localizzazione all’estero delle persone fisiche che si sono iscritte all’AIRE e, successivamente, sono immigrate in Stati o territori a fiscalità privilegiata, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento una presunzione legale relativa che pone a carico del soggetto passivo, persona fisica, l’onere di dimostrare che si è effettivamente stabilito all’estero.

Infatti, per espressa disposizione normativa, si considerano residenti nel nostro Paese, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente che si sono trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata (articolo 2, comma 2-bis, del Tuir).

I Paesi a fiscalità privilegiata rilevanti ai fini della determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche sono elencati nel D.M. 4 maggio 1999, nella versione attualmente in vigore per effetto delle modifiche intervenute nel tempo ad opera dei DD.MM. 27 luglio 2010 e 12 febbraio 2014.

Sul punto, al fine di agevolare il contribuente e fornire, in chiave interpretativa, le pertinenti indicazioni, l’Agenzia delle Entrate con la circolare 140/E/1999 ha fornito alcuni esempi che consentono al soggetto di superare la presunzione legale relativa de qua.

Nello specifico, per dimostrare l’effettività del trasferimento all’estero si potranno evidenziare particolari elementi di carattere oggettivo quali:

  • la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
  • l’iscrizione e l’effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
  • lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo stipulato nello stesso Paese estero, ossia l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
  • la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;
  • la movimentazione, a qualsiasi titolo, di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero da e per l’Italia.

Coerentemente, anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato l’approccio interpretativo fornito dal citato documento di prassi.

In particolare, nella sentenza del 4 settembre 2013, la Corte di Cassazione ha dato estrema rilevanza, ai fini della corretta individuazione della residenza fiscale della persona fisica, al luogo ove la stessa ha stabilito il proprio domicilio inteso, nella definizione fornita dall’articolo 43 del cod. civ., come “il luogo nel quale la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”.

In merito, il domicilio quale criterio di individuazione della residenza fiscale è caratterizzato dalla volontà del contribuente di mantenere – in un determinato luogo – il centro dei propri interessi personali, familiari e patrimoniali.

Sul medesimo solco interpretativo si è posta la citata sentenza, nella quale è stato posto in evidenza che nell’iter logico-giuridico finalizzato alla corretta individuazione della residenza fiscale della persona fisica immigrata in un paradiso fiscale ex D.M. 4 maggio 1999, l’onere della prova posto a carico del soggetto passivo, teso a dimostrare l’effettività del trasferimento in un Paese a fiscalità privilegiata, può ritenersi assolto sulla base di specifici elementi forniti al Fisco.

In tale circostanza, risultano dirimenti fatti e circostanze oggettive quali, a titolo esemplificativo: la stipula di un contratto di affitto per la locazione di un appartamento nel Paese estero, il pagamento delle correlate spese di affitto, la corresponsione di altre spese accessorie, la stipula di utenze telefoniche, elettriche, televisive e, infine, l’apertura di depositi bancari nel Paese di insediamento.

In definiva, secondo l’approccio ermeneutico fornito dalla Cassazione, il centro degli interessi personali e familiari della persona fisica sembra prevalere rispetto a quelli professionali del soggetto passivo, con la conseguenza che la presunzione di residenza in Italia, prevista a carico dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, può essere legittimamente superata dalla positiva valutazione di elementi di fatto forniti dal contribuente all’Amministrazione finanziaria.

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