18 Aprile 2014

Dividendi economici a rischio

di Ennio Vial
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E’ tempo di approvazione di bilanci e con essi si presenta l’occasione di distribuire gli utili ai soci.

Il livello impositivo dei dividendi, tuttavia, risulta particolarmente oneroso in quanto, ipotizzando la percezione da parte di persone fisiche che detengono partecipazioni qualificate in società di capitali, l’Irpef si attesta sul 21,38%, supponendo di applicare l’aliquota marginale del 43% sul 49,72%.

Il livello impositivo non è modesto, in quanto si tratta di utili che hanno già scontato Ires e Irap in capo alla società.

Da queste premesse nasce l’esigenza di ottimizzare il livello impositivo con qualche soluzione che tuttavia deve fare i conti con la disciplina antielusiva.

Supponiamo il caso, tutt’altro che infrequente, di due soci Tizio e Caio al 50% della società operativa Alfa srl. Una soluzione, talora rinvenibile nella prassi, è quella della rivalutazione delle quote seguita dalla vendita a credito a due piccole holding personali.

In questo modo viene salvaguardata l’autonomia dei soggetti che si gestiranno ciascuno la propria holding di famiglia.

L’operazione, tuttavia, porta a diversi profili di criticità. Innanzitutto, pur solleticando il consulente che la propone in quanto fonte di notevole lavoro, si devono mettere in conto le seguenti spese:

  • la perizia di rivalutazione;
  • il costo fiscale della rivalutazione;
  • la gestione di due ulteriori società;
  • il rischio che la holding debba dotarsi del collegio sindacale pur avendo un patrimonio contabile modesto.

L’operazione presenta un profilo di criticità anche nell’ottica del passaggio generazionale. Infatti, se uno dei due soci muore gli eredi subentreranno nelle quote della holding che detiene il 50% della società operativa. Diversamente, nella detenzione diretta delle quote da parte delle due famiglie nella società operativa, operava magari quella clausola statutaria secondo cui in caso di morte di uno dei soci, gli eredi non subentrano ma vengono piuttosto liquidati garantendo in questo modo la prosecuzione dell’attività in capo al socio superstite.

L’ottimizzazione dei dividendi in questi casi discende dal fatto che la holding tasserà gli utili provenienti dalla società operativa solamente sul 5% del loro ammontare. La holding, invece di procedere ad una distribuzione onerosa in capo ai soci persone fisiche, provvederà al rimborso del debito.

Ma quale può essere la ratio di questa operazione di fronte ad una verifica da parte dell’Agenzia?

In molti casi lo scopo rischia di essere il mero risparmio fiscale e, pur di perseguirlo, magari abbiamo addirittura messo a rischio il passaggio generazionale dell’attività operativa gestendo con poca attenzione le clausole statutarie.

Una strada alternativa, invero non meno scevra da rischi, è quella dell’inserimento delle quote in un trust meglio se relative all’intera partecipazione.

I vantaggi dell’operazione sono innegabili:

  • non serve nè la perizia da rivalutazione, il conseguente sostenimento del costo fiscale della rivalutazione stessa in quanto la disposizione delle quote in trust non configura un presupposto impositivo ai fini delle plusvalenze;
  • il trust per sua natura non necessita del collegio sindacale;
  • il costo di gestione può essere più modesto rispetto a quello della holding;
  • si ottiene il medesimo risparmio fiscale sui dividendi senza il rischio di possibili contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria (ovviamente solo se il trust ha una sua finalità meritevole diversa dal risparmio fiscale);
  • si beneficia dell’esenzione da imposta di donazione di cui all’art 3 co. 4-ter del D.Lgs. 346/1990, senza necessità di dover pagare, alla morte del disponente, ulteriormente l’imposta di donazione o di successione;
  • possibilità di gestire in modo ottimale il ricambio generazionale.

C’è solo un piccolo problema: il trust non deve essere considerato né interposto né simulato per difetto dell’interesse meritevole di tutela che deve essere sempre alla base dell’istituto.