9 Giugno 2014

Dilettantismo, subordinazione e professionismo di fatto

di Ernesto RussoGuido Martinelli
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Con sentenza n. 380 del 27 maggio 2014, il Tribunale di Venezia (Sez. Lavoro) ha accolto il ricorso presentato da una società sportiva dilettantistica partecipante al massimo campionato nazionale di hockey sul ghiaccio cui era stato notificato un avviso di addebito INPS (Gestione Ex ENPALS) per contribuzione relativa a propri tesserati considerati lavoratori dipendenti.

La pronuncia riveste la massima importanza per il mondo dello sport italiano, non tanto per la comunque consistente somma iscritta a ruolo (€ 427.970,16), quanto perché tutti gli atleti e gli allenatori dilettanti in forza alla società per le due stagioni oggetto di ispezione erano stati considerati dei “professionisti di fatto” e, pertanto, considerati lavoratori subordinati con conseguente assoggettamento a contribuzione previdenziale ed assistenziale oltreché all’iscrizione nelle scritture obbligatorie (e conseguenti sanzioni in capo al legale rappresentante).

Gli ispettori avevano ritenuto che il professionismo di fatto dovesse pur trovare tutela nelle norme di cui alla L. 91/1981 in presenza di atleti e tecnici “che praticano lo sport come loro principale ed unica attività retribuita”. A loro parere, dunque, gli importi erogati dalla società non potevano dirsi rientranti nei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. m) TUIR (non soggetti a contribuzione) ma erano da considerarsi redditi “principali”.

Il Giudice prende correttamente le mosse dall’analisi della L. 91/1981 affermando esplicitamente che “non basta … che vi sia una prestazione sportiva con i caratteri della onerosità e della continuità ma deve, altresì, trattarsi di prestazione dell’attività svolta nei settori qualificati come professionisti dalle Federazioni sulla base delle direttive impartite dall’Ente pubblico CONI. La scelta del Legislatore del 1981 è stata, infatti, quella di rimettere al CONI ed alle Federazioni la decisione in merito alla natura professionistica (o meno) di una determinata attività ed alla conseguente applicabilità della L. 91 cit.[1]. L’esame dei regolamenti CONI e delle Carte Federali della FISG ha portato subito ad escludere che la disciplina dell’hockey su ghiaccio potesse essere considerata professionistica.

Altro passaggio importante della sentenza è quello relativo all’impossibilità di applicare la L. 91/1981 in via analogica “in quanto si tratta di una disciplina eccezionale che regola un particolare rapporto di lavoro – quello dello sportivo professionista – in modo diverso dal normale rapporto di lavoro subordinato” (v. art. 14 Disposizioni sulla legge in generale – c.d. “Preleggi”). Un diverso argomentare avrebbe significato riconoscere agli sportivi dilettanti (considerati “professionisti di fatto”) una tutela più “intensa” di quella che il legislatore ha riconosciuto agli sportivi operanti in settori qualificati come professionisti ex lege.

Il Giudicante, inoltre, tiene a precisare che la fascia di € 7.500 di cui all’art. 69, comma 2 TUIR è esclusivamente una soglia di neutralità fiscale e non un limite oltre il quale il rapporto deve considerarsi professionistico. Tali redditi diversi “qualunque sia il loro ammontare, sono esenti da contribuzione” poiché l’attività sportiva dilettantistica (o “non professionistica” come definita nello Statuto del CONI) va tenuta distinta da quella amatoriale, a nulla rilevando l’intensità dell’impegno richiesta per il suo svolgimento.

Va, altresì, rilevato che il D.M. 15/03/2005 in sede di adeguamento delle categorie dei soggetti iscrivibili all’ENPALS ha escluso, “per precisa scelta normativa”, gli atleti e gli allenatori delle squadre dilettantistiche “sicché il riferimento ad altri criteri come quello della professionalità quale conseguenza della abitualità e non marginalità dei redditi conseguiti dagli atleti ed allenatori, si appalesa come totalmente erroneo”. L’assoggettamento a contribuzione ex ENPALS per atleti ed allenatori dilettanti, dunque, sarebbe configurabile solo allorquando si dimostrasse il carattere proprio della subordinazione (“dipendenti delle società sportive” – punto 20 del D.M. 15/03/2005), ovvero la soggezione al potere organizzativo, direttivo e disciplinare. Ad avviso del Tribunale, nel caso di specie l’Istituto non ha dedotto, allegato e provato la subordinazione, comunque difficilmente rinvenibile nei generici impegni elencati nei contratti per prestazioni sportive dilettantistiche.

La difesa dell’INPS ha cercato far discendere la natura subordinata dei rapporti facendo leva sulla procedura di ingresso in Italia degli sportivi extra-comunitari che, nel periodo oggetto d’ispezione, prevedeva la sottoscrizione di un modello di contratto di soggiorno, definito di “lavoro subordinato/sport”. Anche sul punto, però, il Giudice ha ritenuto di aderire alla tesi dell’opponente che ha evidenziato trattarsi di una lacuna della normativa (L. 189/2002 – c.d. “Bossi-Fini”) successivamente colmata per via regolamentare (art. 37, D.P.R. n. 334/2004) riconoscendo la possibilità per il CONI di sottoscrivere una “dichiarazione nominativa di assenso”, che sostituisse a tutti gli effetti il necessario “nulla osta al lavoro”, non solo per gli sportivi professionisti ma anche per i dilettanti.

Il Giudice ha, dunque, accolto l’opposizione della società sportiva ritenendo non percorribile la tesi dell’INPS che si “fondava” su una doppia presunzione (presunzione di applicabilità analogica della presunzione di subordinazione contenuta nella L. 91/1981) e, pertanto, in un mero giudizio senza alcun elemento a sostegno.

Pur salutando con estremo favore la pronuncia in commento, non si può non rilevare in conclusione come ancora una volta la normativa italiana di settore (e relativa giurisprudenza) si appalesi alquanto distante da quanto propugnato in sede europea laddove viene maggiormente in rilievo la natura economica delle prestazioni al fine di stabilire se uno sportivo sia o meno da considerare un “professional player”.


[1] Già con propria delibera del 2/05/1988, il Consiglio Nazionale del CONI aveva riconosciuto che potessero essere istituiti dei settori professionistici unicamente all’interno della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), Federazione Ciclistica Italiana (FCI), Federazione Italiana Golf (FIG), Federazione Motociclistica Italiana (FMI) e Federazione Pugilistica Italiana (FPI). A decorrere dal 30/06/1994 a queste si è aggiunta la Federazione Italiana Pallacanestro (FIP). Nel 2009 la FMI ha eliminato il settore professionistico che, del resto, era stato sì previsto ma mai effettivamente disciplinato mentre più recentemente (2011) lo ha previsto statutariamente la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE).