26 Settembre 2015

Dal decreto crescita indicazioni sulla competenza delle perdite su crediti

di Comitato di redazione
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L’articolo 13 del decreto crescita ed internazionalizzazione interviene ad introdurre un nuovo comma 5-bis nell’articolo 101 del TUIR, in tema di competenza delle perdite su crediti.

La citata disposizione afferma che: “Per i crediti di modesta entità e per quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, la deduzione della perdita su crediti è ammessa, ai sensi del comma 5, nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi del predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio”.

In sostanza, si intende porre fine ad un dubbio che era sorto nel passato in merito al corretto esercizio di competenza della deduzione. A titolo estremamente riassuntivo, si ricorda che, specialmente per quanto riguarda la deduzione di perdite connesse a procedure concorsuali (si pensi, ad esempio, al fallimento):

  • l’Agenzia aveva nel passato sostenuto che il periodo indicato dalla norma fosse inderogabile, con la conseguenza che l’imputazione tardiva avrebbe condotto alla indeducibilità del costo;
  • successivamente, grazie anche alla “spinta” della Cassazione, si era ammorbidita la posizione, sostenendo che la deduzione poteva essere operata nell’esercizio di imputazione contabile, a condizione che il medesimo non fosse frutto di una mera discrezionalità del contribuente ma fosse comprovata con supporto documentale, nello specifico proveniente dagli organi della procedura;
  • la dottrina aveva, per lo più, specificato che la deduzione fiscale dovesse accodarsi alla scelta di natura civilistica, con ciò affermando un principio che, correlato con la esigenza di prudenza imposta dal codice civile, finiva per rendere comunque problematica la risoluzione della vicenda nel caso in cui la perdita (o, meglio la svalutazione) fosse stata operata in esercizi successivi.

La nuova norma, invece, specificamente afferma in modo chiaro quali debbano essere:

  • il periodo a partire dal quale la deduzione è ammessa;
  • il periodo oltre il quale la deduzione non è più ammessa;
  • le regole di gerarchia tra piano fiscale e piano civile.

Infatti, il credito non può più essere mantenuto in bilancio quando la procedura è chiusa, mentre invece, nel periodo di svolgimento della stessa, al redattore del bilancio è affidato il compito di stimare la quota incassabile.

Le norme di cui sopra si applicano a partire dal periodo di imposta 2015.

Ma l’intervento non si limita a questo, posto che l’articolo 13 del decreto introduce anche una norma di interpretazione autentica sul problematico comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, specialmente per la parte in cui si debbono gestire contemporaneamente le svalutazioni congiuntamente con le perdite.

La norma richiamata prevede che l’articolo 101, comma 5, del TUIR si interpreta nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e di quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale ed eventualmente non dedotte in tali periodi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili.

La Relazione illustrativa descrive la norma come necessaria, in quanto (nel passato) potevano sorgere incertezze interpretative in merito alla deducibilità quali perdite su crediti delle svalutazioni di crediti imputate in bilancio in presenza delle condizioni individuate dal comma 5, che ne consentono la deducibilità «in ogni caso», ovvero al verificarsi degli elementi certi e precisi cosi come specificati dal medesimo comma.

Ciò si verifica, in particolar modo, nei casi in cui le svalutazioni vengano effettuate non in modo analitico, ma per masse, e non siano perciò riferibili al singolo credito.  Al riguardo, l’ipotesi di un’automatica trasformazione delle svalutazioni in perdite fiscali – condivisa attualmente da prassi e dottrina – risulta in molti casi assai gravosa, tanto ai fini dell’individuazione del corretto esercizio di competenza ai fini della deduzione della perdita, quanto agli effetti della ricostruzione delle successive vicende reddituali di crediti che, pur risultando contabilmente ancora iscritti in bilancio, ai fini fiscali dovrebbero considerarsi non più esistenti (in quanto le relative svalutazioni sono già state dedotte come perdite).

Anche per le imprese che hanno deciso di dare rilevanza fiscale all’automatica trasformazione delle svalutazioni in perdite fiscali, peraltro, non è escluso che possano generarsi delle aree in cui l’importo delle svalutazioni dedotte come perdite sia risultato (o risulti) inferiore a quello astrattamente  deducibile, e ciò, in particolare, sia per la mancanza nei sistema aziendali di alcuni dati rilevanti sia in conseguenza di oggettive e documentabili limitazioni delle procedure aziendali di individuazione dei crediti e di calcolo delle svalutazioni a questi attribuibili.

Ecco allora che, al fine di ovviare a tali incertezze applicative, il comma 3 dell’articolo 13 prevede che la mancata deduzione in tutto o in parte come perdite fiscali delle svalutazioni contabili dei crediti nell’esercizio in cui già sussistevano i requisiti per la deduzione non costituisca violazione del principio di competenza fiscale, sempreché detta deduzione avvenga non oltre il periodo d’imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla vera e propria cancellazione del credito dal bilancio.

Sembra dunque di comprendere, con l’ausilio della Relazione, che si sia inteso dare un colpo di spugna al passato, superando la chiave di lettura rigida dell’Agenzia che intendeva come perduta la possibilità di deduzione dei mini crediti se, all’interno della quota di svalutazione operata, fossero presenti partite già dotate dei requisiti quantitativi e di “maturazione” sufficienti a rendere verificate le condizioni previste dal TUIR.

Si cita ancora il termine ultimo dell’obbligo di cancellazione del credito dal bilancio secondo le indicazioni dell’OIC che, va rammentato, impone la cancellazione in ipotesi davvero limitate, relegando all’ambito delle svalutazioni (invece) la gran parte dell’adeguamento di valore del credito nominale rispetto a quello effettivamente incassabile.

Si tratterà di verificare come l’Agenzia delle entrate potrà leggere queste disposizioni, anche se – a nostro giudizio –  si deve dare alla disposizioni una lettura che sia in grado di soddisfare l’esigenza di un superamento delle difficoltà ad oggi esistenti sul tema.