26 Febbraio 2016

Crisi di liquidità ed omesso versamento delle ritenute

di Luigi Ferrajoli
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L’omesso versamento di ritenute dovute o certificate, reato previsto e punito dall’art. 10 bis del D.Lgs. 74/2000, è argomento che tuttora vede la giurisprudenza impegnata a dipanare le questioni sottese ad una fattispecie indubbiamente meritevole di attenzione.

In particolare, il tema più dibattuto, anche in ambito dottrinale, riguarda la possibile configurabilità dell’esimente della crisi di liquidità, qualora il mancato versamento delle imposte sia dovuto a difficoltà economico-finanziarie che il soggetto attraversa e che impediscono di rispettare il termine previsto per il versamento delle stesse.

Con la sentenza depositata in data 19 dicembre 2015, il Tribunale di Firenze, Seconda Sezione Penale, ha condannato l’amministratore unico e legale rappresentante di una società perché, a fronte di ritenute d’imposta indicate come avvenute nella dichiarazione annuale, vi era stata omissione dei versamenti per oltre 196.000 euro. Tale omissione era perdurata anche a seguito della ricevuta comunicazione di regolarizzare la posizione tributaria.

Il fatto che l’omissione de qua si concretizzi, nella maggior parte dei casi, a cagione di difficoltà economiche è questione pacifica, per il Giudice, dato che il soggetto che si rende inadempiente si è precedentemente dichiarato debitore nei confronti dell’Erario e non ha posto in essere manovre fraudolente dirette ad ingannare quest’ultimo.

Dopo avere ripercorso il meccanismo di riscossione dell’imposta mediante sostituzione e delle ragioni sottese alla norma, il Tribunale ha evidenziato, come da giurisprudenza di legittimità, che il sostituto d’imposta deve organizzare le risorse disponibili al fine di adempiere all’obbligazione tributaria, avendo il dovere, collegato all’erogazione degli emolumenti, di accantonare le somme dovute all’Erario. Su queste basi, la Cassazione ha lasciato poco spazio per poter escludere la responsabilità penale per assenza dell’elemento soggettivo ovvero per forza maggiore, concretizzantesi nell’improvvisa mancanza di liquidità.

Il Tribunale ha altresì sottolineato che le pronunce assolutorie dei giudici di merito si sono fondate su insolvenza dei sostituti d’imposta derivante da ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, sicché è possibile applicare l’art. 45 C.P.

Tuttavia, anche in questi casi, al Giudice è demandato di verificare se, oltre alla mancanza di liquidità, come richiesto dalla forza maggiore si tratti di fatto imprevisto e imprevedibile e che il soggetto attivo abbia fatto il possibile per uniformarsi alla legge. Pertanto, perché possa configurarsi l’esimente della forza maggiore, si dovranno contemporaneamente avverare due condizioni: a) la crisi economica non deve essere imputabile al sostituto d’imposta; b) la crisi economica non poteva essere adeguatamente fronteggiata dall’imprenditore tramite ricorso ad idonee misure, da valutarsi concretamente.

In altre parole, con specifico riguardo a tale ultimo elemento, il soggetto dovrà dimostrare di essersi attivato per reperire le risorse necessarie per far fronte al debito tributario, anche attraverso sacrifici economici personali, e solo in questo caso potrà trovare applicazione l’esimente e la conseguente non punibilità. L’accertamento è quindi rigoroso e dovrà investire tutte le azioni a disposizione del contribuente.

Secondo il Tribunale di Firenze, tra le alternative previste per far fronte alla crisi economica dovrebbero annoverarsi la dismissione del patrimonio, immobiliare o mobiliare, personale o sociale, delle azioni o delle quote di cui la società debitrice possa essere titolare, l’aumento del capitale sociale, l’esborso economico dei soci, anche a carattere personale, ovvero la richiesta di mutui da parte dell’imprenditore.

Nel caso di specie, viceversa, l’imputato non ha adempiuto all’onere di allegazione (inerente la non imputabilità al medesimo della crisi economica e l’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità attraverso misure idonee), rimanendo assente e non indicando alcun testimone, né documento utile per poter invocare la causa di non punibilità.

Sotto il profilo soggettivo, nei confronti dell’imputato il Tribunale ha ravvisato almeno il dolo eventuale, compatibile con il reato omissivo in esame, poiché il contribuente, deviando dalla destinazione finale delle somme corrisposte dai sostituiti proprio per adempiere all’obbligo erariale, ha assunto il consapevole rischio di trovarsi nella “concreta e probabile impossibilità di compiere l’azione doverosa”.

Per questi motivi, il Tribunale ha ritenuto l’imputato responsabile del delitto al medesimo ascritto.