26 Maggio 2017

Credito Irap alle società senza dipendenti con problemi di ciclicità

di Enrico Ferra
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La determinazione del credito d’imposta Irap del 10%, introdotto dalla legge di Stabilità per il 2015 a favore dei soggetti che non si avvalgono di personale dipendente, sembra produrre più difficoltà interpretative che reali benefici.

Come è stato rilevato da più parti, l’agevolazione è frutto della volontà di garantire una parità di trattamento tra tali soggetti (in prevalenza società immobiliari) e coloro che possono sfruttare la deduzione integrale del costo dei lavoratori dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. È apparsa, inoltre, un timido tentativo di far meglio recepire l’abrogazione dei commi da 1 a 4 dell’articolo 2 del D.L. 66/2014, con la quale è stata sconfessata la riduzione dell’aliquota base dal 3,9% al 3,5% prima della sua entrata in vigore.

Le disposizioni attuali prevedono quindi, da un lato, una deduzione analitica ai fini delle imposte sul reddito dell’Irap relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato, al netto delle deduzioni da “cuneo fiscale”; dall’altro, ai contribuenti che non dispongono di dipendenti viene concesso un credito d’imposta pari al 10% dell’Irap lorda da utilizzare esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997 a decorrere dall’anno di presentazione della dichiarazione.

Due disposizioni, queste, apparentemente “combinate” ma del tutto diverse anche dal punto di vista applicativo.

Nel caso della deduzione dell’Irap relativa alla quota imponibile delle spese per il personale, occorre prestare attenzione ai diversi passaggi che la rendono poco immediata, quali l’importo del costo del lavoro dipendente e assimilato, compresi i compensi per gli amministratori e le indennità di trasferta, la corretta quantificazione dell’incidenza delle spese sulla base imponibile Irap, il coordinamento con la deduzione del 10% in presenza di interessi passivi, nonché la ricostruzione dell’Irap effettivamente versata, anche a titolo di ravvedimento operoso o per iscrizione a ruolo. Al termine di questo complesso calcolo, occorrerà poi apportare due distinte variazioni in diminuzione nel modello Redditi:

  • una relativa al 10% degli interessi passivi;
  • una relativa all’incidenza delle spese per il personale.

Diversamente, la determinazione del credito d’imposta del 10% dell’Irap lorda per i soggetti senza dipendenti, a fronte di un’apparente semplicità di calcolo, ha fin da subito creato difficoltà interpretative che interessano sia la corretta contabilizzazione di tale componente sia il connesso regime tributario.

Sotto il primo profilo, ci si è chiesti quale fosse, dal punto di vista civilistico-contabile, la più corretta rappresentazione in bilancio di tale agevolazione e, al riguardo, sono due le interpretazioni offerte:

  • una prima, che tende ad equiparare tale agevolazione alla deduzione riconosciuta alle imprese che hanno diritto alla deduzione del costo del lavoro;
  • una seconda, che assimila tale credito ai contributi, da classificare quindi come sopravvenienza attiva nella voce A.5 “altri ricavi del conto economico.

La prima impostazione muove dall’assunto che tale credito d’imposta non sia paragonabile a un contributo ottenuto a seguito dell’effettuazione di determinati investimenti (come nel caso, ad esempio, del credito d’imposta in ricerca e sviluppo di cui al D.L. 145/2013). In questo senso, l’agevolazione andrebbe rappresentata con una riduzione diretta delle imposte di periodo mediante l’imputazione della relativa contropartita alla voce 22 del conto economico tra i “tributi di competenza dell’esercizio al quale si riferisce il bilancio”, come da paragrafo 100 del nuovo OIC 12.

I sostenitori della seconda tesi partono, invece, dall’idea che il credito d’imposta sia cosa concettualmente diversa rispetto alla deduzione di cui sopra e che sia, di conseguenza, più corretta l’imputazione della relativa contropartita tra le sopravvenienze attive, da rilevare in bilancio tra gli “altri ricavi” in base ai principi della rilevanza e della competenza economica.

A favore di questa seconda impostazione si pone l’Amministrazione finanziaria, che invero nella circolare AdE 6/E/2015 ha semplicemente risposto positivamente a un quesito senza entrare nel merito della corretta contabilizzazione del relativo provento. Nel citato documento di prassi, l’Agenzia parte dal presupposto che, non essendoci una specifica previsione normativa che disponga in senso contrario, il provento contabilizzato a conto economico per effetto del riconoscimento del credito d’imposta “costituisce una sopravvenienza attiva, che concorre integralmente alla determinazione del reddito d’impresa”.

L’adozione di una delle due soluzioni sul piano civilistico-contabile implica evidentemente opportune riflessioni anche in relazione al regime tributario applicabile, che assume diverse connotazioni nei due casi. Infatti, mentre nel caso della contabilizzazione a diretta riduzione del carico fiscale non sembrano emergere problemi di tassazione, nel secondo caso l’iscrizione della sopravvenienza attiva al conto economico comporterebbe l’emersione di un componente positivo tassabile non solo ai fini della determinazione del reddito d’impresa, di cui all’articolo 88 del Tuir, ma anche ai fini dell’Irap, per via della derivazione piena dalle risultanze del bilancio civilistico.

Peraltro, va evidenziato come in quest’ultimo caso, non essendo più in alcun modo “sfruttabile” l’area straordinaria, l’iscrizione di una sopravvenienza attiva nella voce A.5 “altri ricavi” del conto economico comporterebbe evidenti problemi di ciclicità non facilmente risolvibili se non passando dall’irrilevanza – mediante una variazione in diminuzione – di tale componente ai fini del tributo regionale.

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