27 Novembre 2014

Corri e concorri

di Massimiliano Tasini
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Che il Dottore Commercialista sia un mestiere “da corridore” non è un fatto nuovo: a fianco della proverbiale disponibilità a supportare il cliente di fronte a qualsivoglia esigenza professionale – e non solo … una sorta di pronto soccorso, nemmeno troppo virtuale – il Dottore Commercialista è chiamato ad un lavoro di supporto in un gran numero di scelte aziendali.

Come tutti gli uomini, il Dottore Commercialista può essere “buono” o “cattivo“: e non è escluso che suggerisca operazioni illecite, collabori fattivamente alla realizzazione di operazioni illecite, supporti l’imprenditore che desidera realizzare un illecito ma non conosce gli strumenti tecnici per “raggiungere” l’obiettivo.

E’ noto che l’art. 110 del Codice Penale contempla l’ipotesi del concorso, così come è noto che tante sentenze in questi ultimi anni hanno colpito anche il professionista che ha concorso, a vario titolo, alla realizzazione di reati, nei termini che abbiamo sopra tratteggiato. E, tra tali reati, senza dubbio sono contemplati anche quelli penal-tributari, cioè quelli disciplinati dal D. Lgs. 74/ 2000, che non prevede una specifica disciplina sul concorso (salvo quanto statuito dall’art. 9, riferito alla ipotesi di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, ma che qui possiamo trascurare).

E’ invece meno noto che l’art. 9 del D. Lgs. 472/1997 prevede una ipotesi di concorso anche in materia di sanzioni amministrative; concorso che, non avendo una disciplina compiuta, si rifà sotto ogni profilo a quanto previsto dal citato art. 110 Codice Penale.

La riforma delle sanzioni amministrative tributarie è entrata in vigore il 1° aprile 1998, e dunque oltre sedici anni fa; eppure, questa disposizione è stata relegata in un buio scantinato, come agevolmente dimostrabile dal fatto che, consultando una buona banca dati, le pronunce sul punto si contano sulle dita di una mano.

Sembra però che qualcosa sia cambiato: l’Amministrazione ha preso consapevolezza di questo strumento ed ha cominciato ad utilizzarlo, irrogando sanzioni anche pesantissime a professionisti ritenuti concorrenti nelle violazioni perpetrate dai loro clienti.

Cosa abbia determinato questo nuovo “trend” interpretativo non è dato sapere, così come non è dato sapere per quale motivo le sanzioni tributarie, che venivano sistematicamente applicate nei loro minimi edittali per violazioni anche gravissime, oggi sono quantificate per importi elevatissimi, sfruttando i meccanismi dell’art. 12 del D. Lgs. 472/1997.

Peraltro, questa situazione determina effetti perversi, atteso che mentre l’amministratore della società accertata non risponde in proprio delle sanzioni tributarie, stante il disposto dell’art. 7 del D. L. 269/2003 – che, d’un sol colpo ha sradicato il meccanismo di personalizzazione delle violazioni che sta alla base della riforma delle sanzioni amministrative tributarie -, applicando l’art. 9 del D. Lgs.  472/1997 delle sanzioni risponde però il professionista. Quindi, l’amministratore, beatamente, non vede toccato il suo patrimonio, perché gode di uno “scudo” di cui non gode il professionista.

La prima giurisprudenza di merito che si sta interessando della questione sta adottando un criterio molto prudente, teso anche a valorizzare il fatto obiettivo che il professionista potrebbe non aver ricevuto alcun vantaggio dalla violazione e che dunque non ha senso che risponda in proprio.

D’altra parte, la struttura dell’Agenzia delle Entrate ed i poteri di cui la stessa dispone sembrano insufficienti per affermare l’esistenza di un concorso del professionista: le limitazioni insite nel processo tributario, ed in specie nel suo art. 7, giudicato legittimo dalla Consulta, pur se menomato dalla mancanza della prova regina (quella testimoniale), ben difficilmente consentiranno un accertamento dei fatti volto a ragionevolmente sostenere, motivare e provare, la responsabilità del professionista.

Tutto ciò salvo che non si voglia dar credito agli sfoghi dell’imprenditore accertato, che ha spesso buon gioco a scaricare le sue responsabilità su chi corre (e concorre) al suo fianco.

Il pericolo che l’art. 9 del D. Lgs.  472/1997 possa essere utilizzato anche sulla scorta di motivazioni piuttosto blande è purtroppo concreto: ci auguriamo che le strutture centrali dell’Agenzia delle Entrate pongano la questione all’attenzione di un tavolo tecnico che, auspicabilmente, dovrebbe coinvolgere anche i Dottori Commercialisti.