5 Ottobre 2013

Comunicazione dei beni: coordinamento tra le varie esclusioni

di Fabio Garrini
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Se l’utilizzo dei beni da parte dei soci della società avviene a seguito di un adeguato corrispettivo, non solo non vi sono conseguenze reddituali in capo al socio, ma non vi è, altresì, alcun obbligo di comunicazione circa tale utilizzo: questa è una delle principali novità contenute nel Provvedimento 2.8.2013, n. 94902 con il quale l’Agenzia delle Entrate ha approvato il modello per la comunicazione dei beni utilizzati dai soci e dai familiari dell’imprenditore.

Il “congruo addebito”

In base al precedente Provvedimento 16.11.2011, n. 166485, costituiva presupposto per la comunicazione in esame il semplice utilizzo del bene da parte del socio o del familiare e, conseguentemente, era lecito supporre che tale obbligo si manifestasse anche in assenza di conseguenze reddituali in capo all’utilizzatore (nessun importo tassabile). Il che, va detto, sembrava piuttosto bizzarro, in quanto tale informazione non sembrava troppo utile per l’Amministrazione Finanziaria: visto che l’utilizzo del bene sociale veniva adeguatamente remunerato, non vi erano motivi per “mettere sotto la lente” la posizione del socio che, malgrado si servisse di un bene sociale, lo faceva a condizioni di mercato. Malgrado ciò, in passato, non era stata prevista alcuna esplicita esclusione per tale frequente situazione e quindi occorreva sostenere che il modello andava comunque compilato. Con una evidente moltiplicazione di adempimenti.

Su questo punto l’art. 2 del Provvedimento recentemente approvato è del tutto chiaro e dimostra di cambiare radicalmente rotta: “A decorrere dall’anno 2012 i soggetti di cui al precedente punto 1 comunicano all’anagrafe tributaria i dati dei soci – comprese le persone fisiche che direttamente o indirettamente detengono partecipazioni nell’impresa concedente – e dei familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa, qualora sussista una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene ed il valore di mercato del diritto di godimento.”

La comunicazione telematica, pertanto, va trasmessa solo ove vi sia una differenza tra quanto addebitato al socio ed il valore dell’utilizzo del bene. In pratica, perché sorga l’obbligo di comunicazione, deve materializzarsi un reddito diverso (ex art. 67 del Tuir) da tassare in capo all’utilizzatore; al contrario, se questi ha remunerato a valore di mercato il diritto d’uso, non scatta alcun obbligo.

Il collegamento con il redditometro

A ben vedere, il fatto che l’onere riguardi solo i casi in cui l’utilizzatore è tenuto a tassare il reddito in natura, è coerente con quanto previsto dall’art. 2, comma 36-sexiesdecies del D.L. n. 138/2011: l’esonero in questione evidenzia come queste informazioni siano prive di utilità per l’Amministrazione Finanziaria.

Pertanto, se le diposizioni vanno lette in una logica sistematica – proprio quella del richiamato comma 36-sexiesdecies, che finalizza la comunicazione alla raccolta di informazioni per l’accertamento della capacità di spesa dell’utilizzatore – se ne deve concludere che l’utilizzo congruamente remunerato risulterebbe irrilevante per il redditometro. Ed in effetti il nuovo redditometro – va detto, ancora in fase di affinamento – risulterebbe proprio basato sulla capacità di spesa e non sul semplice possesso dei beni: conseguentemente l’unico aspetto che dovrebbe interessare all’Agenzia è l’esborso finanziario del contribuente. Dato che tale corrispettivo fatturato sarà noto all’Amministrazione Finanziaria in quanto comunicato dalla società / impresa attraverso lo spesometro (che è in scadenza il 12 / 21 novembre in relazione all’annualità 2012) è evidente l’inutilità di raccogliere informazioni tramite la comunicazione dei beni.

Così tutto gira.

Il coordinamento con le altre esclusioni

Il descritto esonero, peraltro, deve essere coordinato con le fattispecie previste nell’art. 3 del citato Provvedimento ed inerenti, in particolare, i beni utilizzati da amministratori, dipendenti e professionisti (il cui perimetro di applicazione, davvero vasto, è oggetto di approfondimento nel prossimo caso controverso).

La fattispecie sopra descritta interessa particolarmente i casi in cui ad utilizzare il bene sono soggetti che non hanno un rapporto funzionale con la società / impresa e non vi impiegano la propria attività.

Si pensi al caso di società che possiede un immobile che viene utilizzato quale abitazione dal figlio del socio, senza che quest’ultimo abbia nulla a che fare con la società.

Posto quanto sopra osservato, si possono presentare due diverse situazioni:

  • l’utilizzatore non paga nulla (o comunque paga un corrispettivo inferiore al valore normale): si genera un reddito in capo all’utilizzatore per il differenziale (valore di mercato meno eventuale corrispettivo) e vi è obbligo di comunicazione;
  • all’utilizzatore viene addebitato un congruo canone per l’utilizzo di tale immobile: non si forma alcun reddito diverso e di conseguenza viene meno l’obbligo di comunicazione.

La situazione della società che possiede il bene non varia nei due casi: l’utilizzo a valore non congruo, a norma dell’art. 2, comma 36-quaterdecies del D.L. n. 138/2011 si tradurrebbe in una indeducibilità dei costi che però, in questo caso, è connaturata alla tipologia di bene, visto che si tratta di un immobile abitativo: l’art. 90 del TUIR dispone infatti di default l’indeducibilità dei costi inerenti gli immobili patrimonio.