16 Dicembre 2015

Competenza delle provvigioni nella vendita di cosa futura

di Fabio Landuzzi
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La Corte di Cassazione (sentenza n. 12274/2015 e depositata il 12 giugno 2015) ha affrontato un caso riferito alla individuazione del corretto periodo di competenza in cui dedurre le provvigioni passive corrisposte da un’impresa ad un mediatore a fronte della conclusione di un contratto di vendita di cosa futura.

Per la precisione, la società committente svolgeva attività di commercio all’ingrosso di cereali ed altri prodotti di base per l’agricoltura e l’allevamento, che acquistava dai rispettivi produttori e che rivendeva ai clienti i quali si assumevano l’impegno ad acquistare dalla società stessa i beni che essa avrebbe reperito via via nei vari mercati di approvvigionamento mondiali. I contratti stipulati con i clienti si qualificavano quindi come contratti di vendita di cosa futura ex articolo 1472 codice civile.

Detti contratti erano stati intermediati da parte di alcuni mediatori ai quali la società aveva corrisposto al momento della conclusione dei contratti di vendita la provvigione pattuita. Tuttavia, la società, nell’ottica di realizzare una corretta correlazione costi-ricavi, ai fini della imputazione di tale onere (la provvigione passiva riconosciuta al mediatore) nel Conto economico di competenza, aveva rinviato detta imputazione all’esercizio in cui l’ordine era stato eseguito e quindi erano stati prodotti e rilevati i corrispondenti ricavi di vendita. In questo modo, la provvigione veniva correlata esattamente al ricavo della vendita intermediata concorrendo alla formazione del risultato economico dello stesso esercizio.

L’Amministrazione finanziaria aveva eccepito tale comportamento, sulla base di una interpretazione restrittiva dell’articolo 109 Tuir in merito all’individuazione del periodo d’imposta di competenza dei costi relativi alla prestazione di servizi. Infatti, l’Amministrazione aveva assunto che, poiché la prestazione resa dal mediatore doveva intendersi essere stata “ultimata” nell’esercizio in cui il contratto di vendita era stato concluso fra la società ed il suo cliente, il periodo d’imposta di competenza fiscale della provvigione passiva sarebbe stato quello della ultimazione del servizio, a nulla rilevando il fatto che trattandosi di vendita di cosa futura la società avrebbe realizzato e contabilizzato il ricavo solo in un periodo d’imposta successivo.

La Cassazione, nella sentenza in commento, accoglie l’interpretazione della norma fatta propria dall’Amministrazione finanziaria sulla base di un ragionamento che trova i suoi punti fondanti nei seguenti.

  • Il periodo d’imposta di competenza dei costi sostenuti per l’acquisto di servizi è definito dall’articolo 109 Tuir ed è individuato in quello in cui la prestazione viene ultimata, salvo che per le eccezioni previste dalla norma stessa.
  • Il contratto di vendita di cosa futura ex articolo 1472 codice civile, è un contratto consensuale che si perfeziona quindi con il mero consenso delle parti, senza necessità che si abbia anche la consegna della cosa.
  • Il diritto alla provvigione per il mediatore sorge al momento della conclusione del contratto di vendita, senza che abbia rilievo, in assenza di diversa pattuizione, l’esecuzione dell’ordine o altre vicende del rapporto fra venditore e compratore.
  • La provvigione era “certa” riguardo alla sua esistenza, ed anche “oggettivamente determinabile” in quanto la sua quantificazione non era collegata alla successiva identificazione e precisa valorizzazione della “cosa futura” oggetto della vendita.

Quindi, secondo la Cassazione, nel caso di specie non sussisterebbero le condizioni per un differimento ad un esercizio successivo della deduzione dei costi in oggetto, stante appunto l’assenza di pattuizioni tali da poter far ritenere l’onere come non “certo” o non “oggettivamente determinabile”.

La soluzione a cui accede la Suprema Corte nel caso in commento, se da un lato si basa su di una interpretazione chiaramente letterale della norma fiscale, desta tuttavia alcune perplessità in quanto prescinde dalla applicazione di un’equilibrata correlazione costi-ricavi che, sotto il profilo civilistico, parrebbe essere nel caso di specie un approccio adeguato per la corretta determinazione del risultato economico di periodo e quindi anche dell’imponibile fiscale.