16 Luglio 2015

Classificazione in A/6 e D/10 discriminante ai fini Ici e Imu

di Luigi Scappini
Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n.13740 del 3 luglio 2015, conferma l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, apertosi con la sentenza a SS.UU. n. 18565/2009 e ribadito di recente con la sentenza n.5167/2014, affermando come ai fini Ici, per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, che ne comporta l’esenzione da imposta, rileva l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), per cui l’immobile sia stato iscritto come “rurale“, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’articolo 9 del D.L. n. 557/93. In ragione di ciò, se l’immobile è iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi, altrimenti, assoggettato. Parimenti, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta.

Il requisito dell’accatastamento in A/6, se fabbricato abitativo, e D/10, se fabbricato strumentale, è richiesto ai fini Ici ed ora Imu, mentre, per quanto attiene l’imposizione diretta, rimane sufficiente il rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi individuati nell’articolo 9, comma 3 e 3-bis, del D.Lgs. n.557/1993.

Per quanto attiene limitatamente ai fabbricati abitativi, ai sensi del comma 3, preliminarmente, il fabbricato deve essere utilizzato quale abitazione alternativamente da:

  1. soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno per esigenze connesse all’attività agricola svolta;
  2. affittuario del terreno stesso o soggetto che conduce il terreno cui l’immobile è asservito in virtù di altro titolo idoneo. Tale previsione normativa è seguente ai chiarimenti in materia di ruralità dei fabbricati fornita dall’Agenzia del Territorio con la circolare n.7/T del 2007 al paragrafo 3.1.;
  3. familiari conviventi a carico dei soggetti di cui ai punti 1) e 2) che risultino tali dalle certificazioni anagrafiche ed i coadiuvanti iscritti con tale qualifica ai fini previdenziali;
  4. soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti in seguito ad attività svolte in campo agricolo;
  5. almeno un socio o amministratore di società agricola.

Ai fini del soddisfacimento del requisito dell’utilizzo, nelle ipotesi di cui ai punti 1), 2) e 5) i soggetti devono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo e l’iscrizione nel registro delle imprese di cui all’art.8 della Legge n.580/93.

Ne deriva che tale requisito non è richiesto per:

  • i familiari conviventi a carico;
  • i titolari di trattamenti pensionistici da attività lavorative svolte in agricoltura;
  • i coadiuvanti iscritti con tale qualifica ai fini previdenziali.

Il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere una superficie non inferiore a 1 ettaro e deve essere censito al catasto dei terreni con attribuzione di reddito agrario. Nell’ipotesi di terreni adibiti a colture in serra e alla funghicoltura, l’estensione viene ridotta a 3.000 mq. La riduzione si applica anche per i terreni che fanno parte di comuni montani come individuati ai sensi dell’articolo 1, comma 3 della Legge n.97/1994.

Ai sensi del comma 4, sempre dell’articolo 9, si considera rurale anche il fabbricato che non insiste sui terreni cui l’immobile è asservito, purché entrambi risultino ubicati nello stesso comune o in comuni confinanti.

Viene individuato anche un requisito reddituale poiché il volume di affari che deriva dalle attività agricole deve essere superiore alla metà del reddito complessivo, senza prendere in considerazione i trattamenti pensionistici erogati in dipendenza di attività agricole svolte nel passato. Il limite viene ridotto a un quarto nel caso in cui il terreno sia ubicato in comuni montani. In presenza di contribuenti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’Iva, il volume d’affari si presume pari a euro 7mila, consistenti nel limite massimo previsto per l’esonero dall’articolo 34 d.P.R. n.633/1972.

Ultimo requisito richiesto è che l’immobile, per essere considerato rurale, non deve avere le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969.

Per chiudere il cerchio intorno alle caratteristiche appena menzionate, bisogna riportare quanto disciplinato dal co.5 dell’art.9, ai sensi del quale “Nel caso in cui l’unità immobiliare sia utilizzata congiuntamente da più proprietari o titolari di altri diritti reali, da più affittuari, ovvero da più soggetti che conducono il fondo sulla base di un titolo idoneo, i requisiti devono sussistere in capo ad almeno uno di tali soggetti”. In senso conforme la C.M. n. 73/E/1994.

Inoltre, ai sensi del comma 5 dell’articolo 9, se sul terreno su cui è svolta l’attività agricola insistono più unità immobiliari a uso abitativo, i requisiti di ruralità devono essere soddisfatti distintamente. Nel caso di utilizzo di più unità ad uso abitativo da parte di componenti lo stesso nucleo familiare, il riconoscimento di ruralità dei medesimi è subordinato, oltre che all’esistenza dei requisiti indicati nel co.3, anche al limite massimo di cinque vani catastali o, comunque, di 80 mq per un abitante e di un vano catastale, o, comunque, di 20 metri quadrati per ogni altro abitante oltre il primo. La consistenza catastale è definita in base ai criteri vigenti per il catasto dei fabbricati.

 

Per approfondire le problematiche fiscali relative all’agricoltura ti raccomandiamo il seguente seminario di specializzazione: