6 Febbraio 2014

Chi preleva dal conto corrente non sempre evade

di Enrico Ferra
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Nel giro di pochissimi giorni (precisamente due) sono state offerte due diverse interpretazioni della presunzione sui prelevamenti operante nei confronti dei contribuenti.

La prima, in riferimento al caso dell’attore Biagio Izzo, è fornita dalla Commissione Tributaria di Roma nella sentenza n. 1353/11/14 del 29 gennaio scorso, che esclude con argomentazioni piuttosto condivisibili l’automatismo “prelevamento non giustificato = costo in nero” e quindi “costo in nero = ricavo in nero”.

La seconda, molto sbrigativa, è stata proposta dall’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco lo scorso giovedì, che nel richiamare la circolare n. 32/E del 2006 ribadisce la non applicazione delle presunzioni sui prelevamenti in relazione ai casi in cui non sia configurabile un’attività economica (ossia i cosiddetti “soggetti privati”), affermando, in sostanza, che la presunzione di evasione in relazione ai versamenti non giustificati si estende a tutti i soggetti passivi e alle diverse categorie di reddito, mentre quella sui prelevamenti vale per tutti i soggetti esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo.

Ma non solo. L’Agenzia delle Entrate giunge a sostenere che dal tenore letterale della norma (l’articolo 32 del DPR n. 600/1973) si evince che, ai fini dell’applicazione delle presunzioni sui prelevamenti, sono coinvolti anche i contribuenti cosiddetti “minimi”, pur non essendo soggetti alla tenuta delle scritture contabili. Estensione che quindi consente all’Ufficio di qualificare come ricavi o compensi i prelevamenti di tali contribuenti “minori” che non possano o non riescano ad indicare i beneficiari delle somme.

A dire il vero, una lettura più dettagliata della norma l’Agenzia delle Entrate l’ha offerta nella circolare 32/E di cui sopra, ove chiarisce, sempre in relazione ai lavoratori autonomi, che la disposizione sui prelevamenti “intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente, della maggiore capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e correlare tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive anch’esse effettuate presuntivamente in nero […]”. Anzi, l’assenza di una norma sulla presunzione dei prelevamenti (fino all’emanazione della L. n. 311/2004) e il mantenimento dell’esclusione dei professionisti e dei loro “compensi” dall’ambito applicativo della presunzione “avrebbe dato, esso, adito a forti sospetti di incostituzionalità”.

Nell’ottica dell’Agenzia delle Entrate, l’estensione soggettiva ai lavoratori autonomi del meccanismo presuntivo sui prelevamenti – sebbene gli stessi non vendano beni bensì prestino servizi – muove dall’idea che per esercitare “non poche attività professionali è proprio necessario l’acquisto di beni indispensabili (ad es. acquisto di protesi o di anestetici da parte dell’odontoiatra) o comunque di servizi (ad es. pareri tecnici, consulenze specialistiche, etc.) per rendere prestazioni, anche di natura complessa.

È molto “curiosa” poi l’implicita assunzione che l’Agenzia fa nella medesima circolare, secondo la quale i prelevamenti per i quali il contribuente “non può” fornire l’indicazione del beneficiario vadano a finanziare operazioni illegali – come il “pagamento di tangenti” – o comunque in evasione di imposta, senza minimamente considerare la possibilità che magari a distanza di tre o quattro anni il contribuente semplicemente potrebbe non ricordare come ha speso i 100 euro prelevati.

In questo contesto è opportuno proporre la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma sul caso dell’attore Biagio Izzo, raggiunto da un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate di Roma sulle indagini bancarie, che aveva ripreso a tassazione alcune somme relative a prelevamenti rispetto ai quali non era stata fornita opportuna giustificazione.

La difesa dell’artista ha giustamente argomentato che i diversi prelevamenti sul conto corrente personale, nel caso di specie, non potevano essere ricondotti a compensi imponibili mancando la doppia correlazione (e quindi la presunzione della presunzione) “prelevamento = costo in nero” e “costo in nero = ricavo in nero”. La presunzione sui prelevamenti, che pure si applica agli artisti al pari degli altri lavoratori autonomi, secondo la CTP di Roma non può ritenersi sussistente in tutti i casi in cui non vi sia un nesso (diretto) tra prelevamenti e compensi. Lo stesso discorso vale, per la Commissione, con riferimento a tutti i professionisti per cui “non si vede come possa sostenersi l’uguaglianza prelevamenti = compensi”.

La decisione della Commissione Tributaria di Roma rappresenta un’importante apertura rispetto all’applicazione delle presunzioni sui prelevamenti ai professionisti ed ai lavoratori autonomi in generale, non tanto per la ragione che gli stessi legano la propria redditività all’intuitu personae, ma per la valutazione critica della doppia presunzione, che per talune tipologie di contribuenti non ha motivo di esistere.