3 Settembre 2014

Cedolare secca per il fondo patrimoniale? Sì grazie

di Ennio VialVita Pozzi
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Uno dei punti di favore del fondo patrimoniale rispetto al trust è costituito dalla possibilità di beneficiare della cedolare secca sulle locazioni. In passato si era discusso tra gli operatori in merito alla possibilità di usufruire di questa forma di tassazione sostitutiva anche in capo al coniuge che, pur beneficiando del fondo, non risultava essere anche proprietario dell’immobile.

Si tratta del caso, tutt’altro che infrequente nella prassi, dove uno dei coniugi, pur apportando in fondo un suo bene immobile, ne conserva tuttavia la proprietà.

Il problema discende dal fatto che il coniuge non proprietario non possiede i requisiti soggettivi previsti dal comma 1 dell’art. 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011, ossia non è proprietario o titolare di alcun diritto reale di godimento sull’immobile locato, conferito a suo tempo nel fondo patrimoniale.

La sussistenza del diritto di proprietà o di un diritto reale adeguato (una mera servitù di passaggio non sarebbe tale) sono condizioni imprescindibili per vedersi attribuire i redditi di tale immobile. L’unica eccezione è rappresentata dal reddito agrario che normativamente spetta al coltivatore del terreno.

Questo principio è stato enunciato anche nella Sentenza della Cassazione n. 8821 del 16 aprile 2014 (udienza 29 gennaio 2014) dove si affrontava il caso di alcuni immobili intestati a dei comuni che in forza di una legge ormai risalente dovevano essere trasferiti alle ASL.

La Suprema Corte ha evidenziato come ai sensi dell’art. 26 TUIR i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto, o altro diritte reste… per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso; non vi è dubbio, pertanto, che, in base alla predetta regola generale, i redditi fondiari sono imputati al “possessore” dei terreni o dei fabbricati, cioè a colui che ne ha la disponibilità in forza di un diritto di proprietà o di altro diritto reale, e che quindi presupposto della tassazione dei redditi fondiari è la proprietà (o la titolarità di altro diritto reale) dei beni immobili, mentre a nulla rileva, ai fini impositivi per cui è causa, la materiale disponibilità o l’effettivo godimento dei detti beni o la qualificazione (Ente commerciale o meno) del soggetto d’imposta.

Questo principio, ben noto all’Agenzia delle Entrate, è sfociato nella R.M. 394/E/2008 dove è stata esclusa la possibilità che il comodatario possa essere tassato sui canoni di locazione di un immobile.

L’Agenzia delle Entrate afferma, infatti, che nel caso in cui il comodatario stipuli, quale locatore, un contratto di locazione, la titolarità del reddito fondiario non viene trasferita dal proprietario-comodante al comodatario-locatore, per cui il reddito effettivo del fabbricato deve essere imputato, anche in quest’ipotesi, al proprietario dell’immobile.

Il reddito derivante dalla locazione, ridotto forfetariamente del 15%, (ora purtroppo 5%) se superiore alla rendita catastale rivalutata del 5%, va imputato al proprietario e, da questi, dichiarato nel quadro RB del modello di dichiarazione UNICO.

Nel caso del fondo patrimoniale, però, la questione è più complessa in quanto il coniuge non intestatario dell’immobile non è un mero titolare di un diritto di comodato. Indice di questo è anche il fatto che l’amministrazione dei beni è regolata dalle norme relative alla comunione legale di cui all’art. 180 del c.c. terzo comma.

In sostanza, l’amministrazione dei beni e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essi relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi (primo comma) mentre il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi (secondo comma).

Inoltre, l’art. 4, comma 1, lett. b) del TUIR prevede espressamente che “i redditi dei beni che formano oggetto del fondo patrimoniale di cui agli artt.167 e seguenti del codice civile sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi”. Secondo la C.M. 20/E/2012 questa norma tiene conto delle particolari regole dettate dal codice civile per la gestione dei beni facenti parte del fondo patrimoniale.

Secondo l’Amministrazione finanziaria la norma ha carattere generale ed è applicabile anche per l’imputazione dei redditi derivanti dalla locazione degli immobili ad uso abitativo, come nel caso in questione, che altrimenti concorrerebbero quali redditi fondiari in base all’art. 26 del TUIR a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.

La cedolare secca rappresenta una mera alternativa facoltativa rispetto al regime ordinario di tassazione del reddito fondiario ai fini IRPEF; pertanto – conclude l’Agenzia – stante le particolari disposizioni del codice civile in tema di fondo patrimoniale, il principio di imputazione del reddito disposto in via generale dall’art. 4 del TUIR può valere anche in sede di applicazione della cedolare secca.