7 Giugno 2016

Beni di terzi … e un po’ miei

di Massimiliano Tasini
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Dopo molti anni di pendolo, pare che la giurisprudenza stia rivedendo il pensiero, inizialmente assai restrittivo, in ordine al trattamento tributario delle spese sostenute dalle imprese su beni di proprietà di terzi e detenuti in forza di una situazione giuridica definita, quali il leasing o la locazione.

In particolare, la Suprema Corte, con riferimento al caso di una società conduttrice che aveva sostenuto spese di rifacimento dell’impianto elettrico ed idraulico su un fabbricato detenuto in locazione, ha recentemente affermato – sentenza n. 382 del 13 gennaio 2016 – che i costi di manutenzione straordinaria su immobili condotti in locazione devono essere dedotti sulla base della durata della locazione, anche non tenendo conto del periodo di rinnovo, atteso che l’estensione a tale periodo non deve ritenersi automatica, rientrando tale scelta nella discrezionalità tecnica del contribuente, da ponderare in relazione alla residua possibilità di utilizzazione delle opere afferenti i costi in oggetto.

La pronuncia si pone in aperto contrasto con la risoluzione 10 luglio 1982, n. 2980, nella quale, ferma la deducibilità della spesa, era stata affermata la necessità di tenere conto anche del periodo di rinnovo del contratto.

In motivazione, la Corte osserva che, in tema di deduzioni ai fini delle Imposte dirette, “… i costi di natura straordinaria per la loro utilità pluriennale, ai sensi dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 5), possono – previo consenso del collegio sindacale ove esistente – essere iscritti nell’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale invece di far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti (Cass. 24939/2013)”.

Naturalmente, discrezionalità tecnica non vuole dire arbitrio, bensì scelta motivata e rispettosa della tecnica.

Il luogo ove motivare è di certo la nota integrativa. Ed i soggetti con cui confrontarsi sono i sindaci e revisori.

Dunque, l’impresa deve indicare specifici criteri, commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (Cassazione n. 8344/2006). E se allora il piano di ammortamento predisposto, con il consenso di sindaci e revisori, dalla società, nella sua discrezionalità tecnica, è stato elaborato avendo riguardo alla durata contrattuale della locazione e senza considerare il periodo di rinnovo, non è condivisibile la tesi del fisco che pretende l’automatica estensione della ripartizione di tali costi alla durata della locazione comprensiva del periodo di rinnovo.

Una conclusione rassicurante ci viene pure sul fronte IVA; la Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza 27 marzo 2015, n. 6200, ha affermato che spetta al contribuente la detrazione e, di conseguenza, il rimborso dell’Iva assolta sul costo dei lavori di ristrutturazione del fabbricato da questi condotto in locazione e costituente bene destinato all’esercizio dell’attività alberghiera svolta dal contribuente stesso. Ciò in quanto si tratta di eccedenza d’imposta, per un verso, conforme ai dettami generali della direttiva comunitaria sull’IVA e, per altro verso, formatasi in relazione a costi per migliorie di beni di terzi eseguite al fine di incrementare la redditività dell’impresa e ammortizzabili nel bilancio civilistico quali altre immobilizzazioni immateriali, alla stregua della normativa comunitaria sui conti annuali delle società.

L’una e l’altra pronuncia, più o meno esplicitamente, affermano sussistere il nesso di inerenza della spesa, senza che assuma rilievo la mancanza del diritto di proprietà sul bene sul quale porre in essere l’intervento.

Insomma, il bene “non è mio” ma “è mio l’intervento”. Ed è bene che un simile orientamento si consolidi, per togliere incertezza alle imprese che investono, anche se non sulla proprietà: l’economia ne trarrebbe grande profitto, così come forse il fisco darebbe ancora una volta una bella immagine di sé nel “privarsi” di simili rettifiche.