29 Ottobre 2014

Banca responsabile per le perdite se l’ordine non proveniva da cliente

di Luigi Ferrajoli
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È del 7 agosto 2014 la sentenza della Suprema Corte con cui viene sancita l’ennesima condanna nei confronti delle banche per la perdita di somme a loro affidate dai propri clienti ai fini di
investimento finanziario.
In particolare, con la
pronuncia n.17795 del 2014, la prima sezione, confermando definitivamente la statuizione della Corte di appello di Torino, ha respinto il ricorso di un istituto bancario che
aveva perso del denaro sui conti correnti di una consumatrice per investimenti sbagliati.
Nel caso di specie, la cliente sosteneva che la banca non aveva adempiuto ai suoi
obblighi di diligenza e trasparenza nell’informazione e nella gestione delle operazioni i cui ordini erano risultati con
firma apocrifa o in bianco.
La Corte di Cassazione, in linea con tale impostazione, ha affermato “
l’illiceità di tutte le operazioni d’investimento eseguite sulla base di ordini non conferiti e/o non conosciuti dalla cliente” nell’ambito del rapporto di mandato in essere tra le parti e ha conseguentemente arguito che “
le perdite patrimoniali prodotte da tali operazioni fossero causalmente imputabili a chi le avesse unilateralmente poste in essere”, attraverso una valutazione globale del pregiudizio patrimoniale, in quanto giustificato dalla natura delle operazioni eseguite.
Da ciò la prima sezione ha altresì affermato la palese
irrilevanza della mancata allegazione in capo alla risparmiatrice del nesso causale relativo a ciascuna operazione, in quanto, nel caso in esame, non era stato mai dedotto, allegato o provato dalla banca che una o più di tali operazioni non avessero determinato perdite patrimoniali pari al capitale investito allegate e dimostrate dalla cliente.
Interessante appare anche il richiamo all’
art.1227 c.c. sulla base del quale la banca pretendeva, quantomeno, di ottenere la diminuzione del risarcimento per fatto colposo della
cliente per avere la stessa
non contestato tempestivamente il danno a seguito di ciascuno operazione lesiva.
In linea con quanto statuito nella sentenza di secondo grado impugnata dall’istituto bancario, la Suprema Corte ha tuttavia escluso il rilievo causale delle mancate contestazioni tempestive, in quanto
è stata riconosciuta
assorbente ed esclusiva la
mancata informazione preventiva e la
conoscenza
delle predette operazioni da parte della cliente.
E’ stata affermata quindi la legittimità del
diritto al risarcimento nei confronti della consumatrice per le operazioni di investimento non andate a buon fine ed eseguite dalla banca sui suoi risparmi sulla base sia degli ordini in bianco (del tutto inesistenti od apocrifi) nella gestione degli investimenti sia della concorrente mancata informazione delle operazioni eseguite.
La Corte ha altresì affrontato il tema della modalità di determinazione della
rivalutazione monetaria e degli
interessi legali.
Come stabilito con orientamento del tutto fermo della giurisprudenza di legittimità il
risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli
interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una
funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual’era all’epoca del prodursi del danno (si veda in tal senso sentenza Cass. S.U. n. 8520/2007).
Sull’importo liquidato alla data della pronuncia, possono essere inoltre riconosciuti gli
interessi compensativi, da calcolarsi
nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (coincidente con quella dell’evento dannoso), ovvero mediante l’attribuzione di interessi sulla somma liquidata all’attualità ma
ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo da considerare, ovvero attraverso il
riconoscimento degli interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ossia
computando gli interessi sull’importo progressivamente rivalutato anno per anno dalla data dell’illecito. (Cass. n. 3931/2010).
Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto dall’istituto bancario ricorrente, gli interessi legali non erano stati calcolati sulla
somma interamente rivalutata a partire dal fatto lesivo ma al contrario sulla somma rivalutata anno per anno ovvero mediante l’adozione di uno dei criteri esplicitati nell’ultima sentenza citata.
Si deve, pertanto, concludere che gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla sola somma rivalutata in quanto
la somma dovuta – il cui mancato godimento va risarcito –
va
aumentata gradualmente
nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione, senza dimenticare che, come detto, sull’importo liquidato alla data della pronuncia, possono essere riconosciuti gli
interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito.