12 Marzo 2014

Attività a “tempo limitato” senza studi di settore

di Fabio Garrini
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La Cassazione con una recente pronuncia – si tratta della sentenza 3943 del 19 febbraio 2014 – si esprime sull’applicabilità degli studi di settore ad una “tipologia” di contribuenti che negli Studi Professionali capita non di rado di dover gestire: quando un soggetto dedica all’attività un tempo modesto (perché oltre all’attività d’impresa / lavoro autonomo) si dedica ad altre attività che esulano dalla sfera legata alla propria partita IVA, l’accertamento sulla base degli studi di settore porta a risultati fuorvianti e il ridotto tempo dedicato all’attività deve essere opportunamente valutato nell’ambito della stima dei ricavi / compensi attribuibili al contribuente.

Il caso

La situazione esaminata nella pronuncia è piuttosto particolare, cionondimeno le riflessioni proposte dalla Suprema Corte paiono generalizzabili e riconoscibili anche in relazione ad una nutrita sequenza di altre situazioni più o meno assimilabili a quella oggetto di analisi.

La controversia riguarda un professionista che svolge l’attività di avvocato, che da poco tempo esercita la professione in forma autonoma; tale contribuente, contestualmente all’attività professionale, aveva assunto anche incarichi come giudice tributario, nonché un’attività di lavoro dipendente come educatore. In particolare, il contribuente lamenta come i giudici di merito non abbiano opportunamente soppesato l’impegno pari a due mesi di attività quale giudice tributario ed a quattro mesi come educatore in un convitto. La commissione tributaria regionale adita aveva in particolare affermato che il fattore tempo (ossia il tempo dedicato all’attività) costituisce un elemento di minore rilevanza nella produzione del reddito professionale; al contrario i ritorni economici dall’attività derivano, in misura preponderante, dalle capacità intellettuali e personali del professionista e, per tale ragione, il fatto che l’attività sia svolta “part time” non andrebbe valorizzata nell’ambito di un accertamento condotto attraverso gli studi di settore.

Proprio su questo punto la Cassazione dimostra di accogliere le doglianze del contribuente: “La ricostruzione fattuale, pure operata dai giudici d’appello, incorre, poi, nel denunciato vizio motivazionale essendo stato ritenuto ininfluente “il fattore tempo” ai fini della determinazione del reddito del professionista, sulla scorta dell’enfatizzazione di elementi – quali “la rete delle relazioni” in cui operava o che “era riuscito a creare”, oltre che le sue capacità personali – che non risultano congruamente sviluppati nella decisione impugnata, specie, in riferimento alle deduzioni del contribuente, che ha affermato trovarsi ai primi anni della professione (svolta con studio autonomo…)”.

Marginalità economica

Quella descritta è peraltro una situazione piuttosto affine alle situazioni di marginalità economica da tempo codificate, per le quali è possibile, ad opera del contribuente, proporre una apposita segnalazione nel campo dedicato alle annotazioni del modello studi di settore a giustificazione di una eventuale anomalia derivante dalla elaborazione di Ge.ri.co (non congruità o anomalia nei risultati degli indicatori di normalità economica). Tra le cause di marginalità economica da tempo ammesse a giustificazione – ed in particolare tra quelle riferibili a condizioni soggettive del titolare – è possibile annoverare il fatto che detto contribuente svolge l’attività in questione in via residuale, con la motivazione di tale “parzialità” giustificabile in presenza di altri redditi, fondiari, di pensione o di lavoro dipendente.

Nel caso di specie, l’esistenza di altri redditi “paralleli” (giudice tributario ed educatore) a quelli derivanti dalla partita IVA, giustificherebbe un modesto ritorno dall’attività economica, aspetto valorizzato anche nella sentenza commentata.