3 Settembre 2016

Ancora problemi sulla individuazione della competenza

di Comitato di redazione
Scarica in PDF

Il principio della competenza rappresenta uno dei capisaldi per la determinazione del reddito di impresa, unitamente alla certezza ed oggettiva determinabilità dell’elemento di reddito.

In linea di principio abbiamo tutti le idee chiare, anche se quando si tratta di applicare i concetti teorici alla pratica sovvengono sempre dubbi e difficoltà.

Peraltro, la numerosità di precedenti trattati in Cassazione sta proprio a dimostrare che si tratta di materia tutt’altro che sedimentata; pertanto, prendendo proprio spunto dalla sentenza di Cassazione n. 16969 dello scorso 26.06.2016 proviamo a fare qualche esercizio applicativo.

Il caso trattato attiene ad un avviso di accertamento relativo a numerosi rilievi elevati con PVC (e poi confermati dall’Agenzia) a carico di una società romana.

Tra questi ne selezioniamo due:

  • esercizio di competenza di spese per lavori su immobile, ultimati nell’anno X ma fatturati nell’anno X+1;
  • esercizio di competenza delle spese del legale, in relazione alle parcelle relative all’assistenza prestata dal professionista per una causa in corso.

In merito alla prima vicenda, dagli atti in causa si ha modo di evincere che – durante la verifica – è stato accertato che la società ha ristrutturato un immobile nel corso dell’anno X (risultano pratiche amministrative che certificano la fine dei lavori), ma ha ricevuto le fatture dall’impresa esecutrice solo nell’anno X+1 (si dice, dopo la redazione del bilancio) e le ha quindi dedotte in questo diverso esercizio avendo avuto notizia solo in quel momento dell’effettivo ammontare della spesa, posto che non era in possesso di alcun preventivo in proposito.

L’Agenzia delle entrate, con proprio ricorso in Cassazione, rilevava che i lavori erano stati ultimati nell’anno X in quanto sono state rinvenute certificazioni di conformità e dichiarazione di fine lavori. Pertanto, fatto salvo il fatto che la competenza della spesa era dell’anno X, si poteva derogare al principio solo nel caso in cui l’importo non fosse oggettivamente determinabile, circostanza in merito alla quale si ritiene non credibile la non conoscenza del costo, vista la presenza di elaborati grafici, direzione lavori, eccetera, che inducono a ritenere che le parti avessero già determinato l’ammontare dello stesso.

La Cassazione, correttamente, ritiene non ammissibile il motivo; infatti, fermo che non si discute della data di ultimazione dei lavori, il punto di contrasto concerne la determinabilità dell’ammontare del costo nel medesimo anno X. Quindi, la censura non ha ad oggetto un vizio del procedimento logico della decisione, ma una divergente valutazione in ordine alla portata probatoria della natura dei lavori, che per la ricorrente dovrebbe indurre a ritenere che già nel 2001 il costo era stato determinato. In tal modo però la censura rifluisce in un sindacato di merito, in ordine alle circostanze acquisite al processo, che è precluso nella presente sede di legittimità. Peraltro, e questa parte appare più di interesse, la ricorrente non ha indicato in modo specifico per quali ragioni la natura dei lavori (elaborati grafici, direzione lavori) avrebbe dovuto consentire la previa determinazione dell’ammontare degli stessi.

Aggiungiamo, solo per ricordare che – talvolta anche la Cassazione scivola sul punto – il momento nel quale deve essere quantificabile (anche se non materialmente quantificato) l’importo è il momento di chiusura del periodo di imposta e non quello successivo di predisposizione del bilancio (valevole solo ai fini civilistici) ovvero di presentazione della dichiarazione dei redditi (completamente irrilevante).

Nella seconda vicenda (assolutamente frequente nella pratica) si discute sul momento di deduzione delle parcelle di un legale, chiamato a difendere la società in una causa; in sostanza, tali costi si ritengono non deducibili in quanto non risultava conclusa la controversia al termine del periodo di imposta.

In questo caso, la Cassazione correttamente accoglie la censura delle entrate, diversamente da quanto era stato fatto nel giudizio di merito in CTR. Si osserva, infatti, che anche civilisticamente il professionista matura il diritto al compenso pattuito solo quando sia posta in essere una prestazione tecnicamente idonea a raggiungere il risultato a cui la prestazione è diretta (regola mitigata da un duplice ordine di diritti del professionista: quello all’anticipo delle spese occorrenti all’esecuzione dell’opera e quello all’acconto, da determinarsi secondo gli usi sul compenso da percepire una volta portato a termine l’incarico, come affermato da Cassazione 10 novembre 2006, n. 24046).

In sostanza, la prestazione difensiva ha carattere unitario e gli onorari dell’avvocato dovranno essere liquidati in base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale, unitarietà che va rapportata ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e quindi al momento della pronunzia che chiude ciascun grado (così, Cassazione 03 agosto 2007, n. 17059). Ulteriore manifestazione dell’unitarietà della prestazione è la decorrenza della prescrizione. Ai sensi dell’articolo 2957 cod. civ. la prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso decorre dal momento dell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico dal cliente (ancora, Cassazione 30 giugno 2015, n. 13401).

Nel caso di specie, invece, mancando la conclusione del singolo grado di giudizio, tutte le erogazioni al legale rappresentano unicamente delle anticipazioni/acconti con rilevanza finanziaria, dovendosi attendere il momento della sentenza per la deduzione della quota parte di costo relativa alla prestazione sino a quel momento svolta.

Ciò significa che, per tutti i nostri clienti, si rileva normalmente un disallineamento tra momento di ricevimento delle parcelle e momento di deducibilità del costo, visti anche i tempi necessari per giungere a sentenza.

Dottryna