12 Giugno 2014

Ai fini Iva, il leasing traslativo è equiparabile alla cessione di beni?

di Marco Peirolo
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Nella giurisprudenza nazionale si sta consolidando l’orientamento che, agli effetti dell’IVA, esclude l’equiparazione del leasing finanziario alla cessione, a meno che sia stata prevista la clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti.

Solo in questa ipotesi, infatti, l’operazione si qualifica come cessione di beni ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972. Diversamente, cioè in mancanza della suddetta clausola, il leasing rientra tra le prestazioni di servizi, ex art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972; in particolare, anche quando dalla volontà delle parti si evince che il negozio posto in essere:

  • non è riconducibile al leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e a fronte di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi;
  • ma al leasing traslativo, allorché la pattuizione si riferisce a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, laddove i canoni hanno la funzione di scontare anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto.

In merito all’individuazione della categoria di appartenenza del leasing finanziario, si segnalano due recenti arresti della Corte di Cassazione. Si tratta:

  • della sentenza n. 22172 del 27 settembre 2013, riguardante una triangolazione posta in essere tra due operatori nazionali e il destinatario finale non residente, in cui i beni acquistati dal cessionario nazionale sono stati inviati in territorio estero dal proprio fornitore in esecuzione di un contratto di leasing finanziario;
  • della sentenza n. 23329 del 15 ottobre 2013, riguardante l’utilizzo del plafond per l’acquisizione, da parte dell’esportatore abituale, di immobili in leasing finanziario.

Con la prima pronuncia, nel presupposto che i beni concessi in locazione restano di proprietà del cessionario nazionale, si afferma che la movimentazione materiale dei beni a destinazione dell’utilizzatore estero non integra una cessione, come definita dall’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972, a meno che sia stata pattuita la clausola vincolante per ambedue le parti (concedente italiano e utilizzatore non residente) al trasferimento della proprietà al momento del pagamento dell’ultima rata. In base a questo principio, nelle triangolazioni, se il secondo passaggio del bene non beneficia della non imponibilità in quanto non dà luogo ad una cessione, neppure il primo passaggio – che è invece una cessione – può beneficiare del regime di non imponibilità.

Per la stessa ragione, con la seconda pronuncia si afferma, in linea con la sentenza n. 1362 dell’8 febbraio 2000, che è superfluo l’accertamento della natura traslativa o di godimento del leasing, in quanto anche nel primo caso un’operazione di cessione di bene immobile, esclusa dal plafond, può perfezionarsi solo al momento dell’esercizio della facoltà di riscatto, mentre nel periodo precedente può configurarsi soltanto una prestazione di servizi, sicché è legittima la fatturazione dei canoni in regime di non imponibilità IVA di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972. Analogamente a quanto indicato nella sentenza n. 22172/2013, i giudici di legittimità ritengono che, affinché la locazione sia assimilabile alla cessione, è indispensabile che l’effetto traslativo della proprietà sia previsto, in sede contrattuale, come clausola vincolante per entrambe le parti. Solo in questa ipotesi, infatti, può considerarsi identica la finalità che caratterizza, rispettivamente, la vendita con effetti differiti e la locazione con clausola di trasferimento della proprietà alla scadenza del contratto.

C’è da chiedersi, tuttavia, se le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte nelle citate sentenze siano davvero condivisibili.

Rispetto al caso della triangolazione, come già evidenziato in un precedente intervento (Triangolazioni all’esportazione con IVA se manca la vendita), l’imponibilità della cessione posta in essere tra i due operatori nazionali può considerarsi giustificata non essendovi certezza che i beni inviati all’estero in esecuzione del contratto di leasing finanziario stipulato dal cessionario italiano siano ivi consumati (sul punto, cfr. R.M. 3 marzo 1986, n. 357136). Laddove, infatti, l’utilizzatore non esercitasse la facoltà di riscatto, la cessione interna avrebbe illegittimamente beneficiato della non imponibilità, che il legislatore ha inteso riconoscere nell’ambito delle operazioni in triangolazione in considerazione del luogo di consumo finale dei beni, situato in territorio estero.

Nel caso degli immobili in leasing, invece, è dato osservare che l’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 qualifica come cessioni all’esportazione, non imponibili ai fini IVA, “le cessioni di beni (…) diversi dai fabbricati e dalle aree fabbricabili, e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare (…) o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta”.

Anche se la norma fa riferimento alle cessioni di fabbricati e aree fabbricabili, il divieto dovrebbe essere esteso al leasing anche quando non sia stata prevista la clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti.

Dato infatti che il leasing rappresenta una modalità alternativa di acquisizione degli immobili, è lecito assumere – anche per finalità antielusive – che il divieto previsto per la cessione debba intendersi riferito pure al leasing. Ed è proprio in ragione dell’effetto equivalente realizzato da tale negozio giuridico che la C.M. 10 giugno 1998, n. 145/E (§ 7), in contrasto con la posizione dei giudici di legittimità, vieta all’esportatore abituale di utilizzare il plafond per acquisire, senza IVA, i suddetti immobili in dipendenza di un contratto di leasing.