17 Dicembre 2016

Accordi particolari e ricadute sulla competenza

di Comitato di redazione
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Siamo normalmente portati a credere che vi siano alcuni principi per la determinazione del reddito di impresa oramai acquisiti nel DNA dei professionisti; sembrerebbero – dunque – non meritevoli di attenzione e approfondimento.

Tuttavia, le varie casistiche pratiche che si possono presentare, ci inducono talvolta a valorizzare l’importanza di tali principi, valutando con attenzione le conseguenze bizzarre che i medesimi possono determinare.

Si pensi al caso di un venditore di particolari prodotti finanziari, remunerato a provvigione dalla casa mandante, appartenente al mondo finanziario. Al fine di mantenere la clientela su un periodo medio lungo, la casa mandante stipula un accordo con il venditore in forza del quale, ad esempio, verrà corrisposta una determinata provvigione (corposa, poniamo 120.000 euro annui), alla sola condizione che un determinato pacchetto di clienti (con i relativi investimenti personali) rimanga legato all’azienda per un periodo minimo temporale, ad esempio 4 anni.

Il nostro venditore, dunque, può contare su un monte provvigioni di 480.000 euro per il periodo quadriennale.

Sempre nel medesimo accordo è pattuito che tali provvigioni verranno erogate in rate mensili di 10.000 euro; la descrizione di tali erogazioni dovrà essere “acconto provvigioni”.

La dizione appare strumentale a rimarcare il fatto che, ove il cliente non mantenga il pacchetto investimenti sino al termine del quadriennio, l’erogazione non risulta spettante e dovrà essere restituita alla casa mandante.

Ovviamente, sulle singole quote di pagamento l’istituto di credito applica le prescritte ritenute e, conseguentemente, al termine di ciascun periodo di imposta rilascerà apposita certificazione unica e indicherà gli importi nel proprio modello dei sostituti di imposta.

Essendo chiamati alla compilazione della dichiarazione dei redditi dell’agente, ci si chiede cosa dovrà essere tassato nel primo anno di applicazione di tale contratto, vale a dire il 2016, tenendo conto che l’agente stesso abbia percepito i 120.000 euro prescritti sull’arco dei 12 mesi.

In linea di principio la provvigione risulta spettante al momento della conclusione del contratto, ma nel caso specifico ci troviamo dinnanzi alla previsione di una condizione sospensiva. La provvigione sarà giuridicamente maturata solo alla condizione che al termine del quadriennio il cliente abbia conservato il pacchetto degli investimenti presso il gestore.

A prescindere dalla convenienza e dalla legittimità dell’accordo civilistico, a noi pare chiaro che il ricavo per provvigione in capo all’agente possa dirsi maturato fiscalmente solo al momento dell’avveramento della condizione, vale a dire la verifica del mantenimento degli investimenti per l’intero quadriennio previsto dal contratto.

Non sembra quindi che sorga alcun obbligo di tassare alcunché a titolo di ricavo nel periodo interinale di verifica della condizione.

Come conseguenza ulteriore, agganciata al tema della correlazione, risulta che il nostro venditore non potrà nemmeno dedurre i costi che avesse eventualmente sostenuto per produrre tali ricavi. Infatti, dovendosi innanzitutto individuare il periodo di imposta di competenza dei ricavi (il quarto anno di applicazione del contratto nell’ipotesi di mantenimento degli investimenti) e dovendo associare ai medesimi tutti i costi sostenuti per realizzarli, si dovrà sospendere la deduzione rinviandola di anno in anno sino al quarto periodo.

Così, sempre a titolo teorico, dovremo presentare:

  • una dichiarazione a zero per l’anno 1;
  • una dichiarazione a zero per l’anno 2;
  • una dichiarazione a zero per l’anno 3;
  • una dichiarazione con 480.000 di ricavi per l’anno 4, unitamente alla sommatoria di tutti i costi sostenuti negli anni 1, 2, 3 e 4.

Negli anni 1, 2, 3 e 4, l’Agenzia delle Entrate riceverà i modelli 770 della casa mandante con l’indicazione delle provvigioni corrisposte e delle ritenute che, tuttavia, dovranno essere scomputate anch’esse nell’anno 4, al momento di tassazione dei connessi ricavi.

Ancora, riscontriamo che il nostro venditore avrà accrediti per 120.000 sul proprio conto corrente negli anni 1, 2, 3 e 4 senza aver dichiarato nemmeno 1 euro di reddito; ma il tutto non deve stupire, perché nella sua contabilità (ipotizziamo che sia un ordinario) le somme ricevute dovranno essere contabilizzare come debito e non come ricavo.

Ove dovesse avvenire, per ipotesi, un disinvestimento massiccio da parte della clientela prima del 4° anno, infatti, tutte le somme ricevute dovrebbero essere restituite alla casa mandante, non essendosi verificata la condizione determinante inserita nel contratto.

Ipotizzare tassazioni frazionate dei ricavi, seguendo il “ritmo” della erogazione e non quello della competenza potrebbe apparire più sensato rispetto alla logica, ma certamente produrrebbe una violazione al criterio della competenza.

Infatti, in relazione alla progressività Irpef, il cumulo delle provvigioni nel quarto anno potrebbe determinare l’applicazione di aliquote medie più elevate rispetto alla ripartizione.

Si noti, ancora, che il nostro venditore potrebbe risultare soggetto anomalo per il Fisco nei 3 anni di prima applicazione del contratto, avendo una disponibilità finanziaria non associata alla dichiarazione di un reddito. Non solo, potrebbe essere destinatario delle simpatiche letterine dell’Agenzia che riscontrerebbero la presenza di un modello 770 del sostituto a fronte dell’assenza del reddito nella dichiarazione del venditore.

Ma tutte queste stranezze non ci possono indurre ad abbandonare la corretta applicazione del principio di competenza, altrimenti potrebbe essere contestato il minor reddito dichiarato dal soggetto in caso di controllo sul 4° anno.

Inoltre, va anche considerato che l’anticipazione della tassazione potrebbe ingenerare problemi ove si fosse chiamati alla restituzione degli anticipi provvigionali incassati ma non spettanti giuridicamente, ad esempio a seguito di disinvestimenti da parte della clientela.

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