14 Gennaio 2014

Accertamento immotivato se non tiene conto delle deduzioni difensive in sede di contraddittorio

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Importante pronuncia della CTR Sicilia, sede di Catania, in ordine all’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento in presenza di adeguate giustificazioni prodotte dal contribuente in sede di contraddittorio preventivo. Peraltro, è anche evidenziato come in materia di indagini finanziarie non sia possibile chiedere al contribuente di soddisfare una “prova diabolica”, come nel caso di non obbligo alla tenuta di una contabilità ordinaria, unica modalità con cui è possibile tener conto adeguatamente delle movimentazioni finanziarie effettuate.

Con la sentenza 335/17/13, depositata il 17.10.2013, i giudici siciliani si sono espressi su un caso di indagini finanziarie con contestazioni di movimentazioni ritenute sospette che avevano condotto ad un avviso di accertamento suffragato anche dallo scostamento degli studi di settore e dal possesso di beni da parte del contribuente ritenuto non proporzionato rispetto ai redditi dichiarati (undici immobili e due autovetture). In primo grado il contribuente aveva avuto parziale accoglimento delle proprie obiezioni, sentenza che era stata prontamente appellata, al pari dell’amministrazione finanziaria che di contro si lamentava della riduzione della pretesa erariale.

La CTR Sicilia ha ritenuto fondato l’appello del contribuente, evidenziando un importante principio che inizia a farsi sempre più strada nella giurisprudenza di merito. Illustra il collegio giudicante, infatti, che la sentenza di primo grado presenta un’evidente contraddizione tra motivazione e dispositivo. Il contribuente già nel contraddittorio preventivo con l’amministrazione accertatrice aveva ampiamente documentato circa tutti i rilievi che gli venivano sollevati. In particolare era stata dimostrata la non obbligatorietà alla tenuta della contabilità ordinaria, la modalità con cui avvenivano gli incassi e la relativa difficoltà ad operare una completa riconciliazione tra le fatture emesse e i versamenti bancari, la presenza dei rilevanti acquisti operati. Inoltre, il contribuente aveva compiutamente completato gli elenchi delle operazioni contestate dal fisco, sia in ordine alle prestazioni effettuate che alle fatture di acquisto. Infine, circa gli immobili e le vetture, il contribuente aveva dimostrato che si trattavano della casa di proprietà, dello studio professionale, di alcune pertinenze e di un immobile ereditato, mentre l’auto era esposta in contabilità.

A fronte di tale ampia difesa preventiva, i giudici siciliani evidenziano come “Può quindi dirsi che l’accertamento, nonostante preceduto da contraddittorio, non tiene conto delle ampie e documentate giustificazioni del contribuente che, inoltre, non risultano contestate in maniera specifica dall’Agenzia delle Entrate. E la Commissione tributaria provinciale (….), pur avendo rilevato tutte le carenze e contraddittorietà dell’accertamento e pur avendo affermato di non riscontrare vendite e/o prestazioni certe e acquisti certi, hanno elevato il reddito professionale sulla base di un principio di carattere generale, ma, in concreto, senza alcuna base logica ricavabile dall’atto di accertamento risultato illegittimo”.

Aggiunge inoltre il collegio giudicante che in materia di indagine finanziaria non può semplicemente invocarsi l’onere probatorio del contribuente, il quale non può essere chiamato a fornire una prova impossibile, che invece può ritenersi soddisfatta quando lo stesso fornisce adeguate spiegazioni e supporti documentali che non sono contestati in maniera specifica da parte dell’Ufficio accertatore e che giustificano la impossibilità di porre in essere, in assenza di obbligo alla tenuta della contabilità ordinaria, una riconciliazione tra movimenti finanziari e accadimenti contabili.

Al dunque la sentenza in commento conduce a conclusioni oltremodo importanti. Il contribuente deve assolutamente difendersi in sede di contraddittorio, illustrando tutte le proprie giustificazioni all’organo accertatore. In materia di indagini finanziarie, poi, devono essere dati tutti i riscontri possibili (senza sfociare nella prova diabolica), come ad esempio illustrare la provenienza di un versamento che è razionalmente riconducibile ad una serie ravvicinata di incassi, al netto di eventuali somme trattenute (si immagini l’incasso di sette ricevute in tre giorni per complessivi 800 euro, con versamento sul conto di 600 euro avvenuta al quarto giorno). Fatto ciò, “la palla” passa all’ufficio che deve compiutamente illustrare le ragioni per cui disconosce le tesi di parte, altrimenti configurandosi una violazione dell’obbligo motivazionale, tema già fatto proprio più volte dalla giurisprudenza sia di merito (che ha più volte evidenziato come tale inadempienza concretizza gli estremi della nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione – ex pluribus, sentenza della CTR Campania, n. 463/12/12 e sentenza CTP Milano n. 275/03/12), che della Corte di Cassazione, secondo cui è ius receptum il principio per cui l’atto d’imposizione tributaria deve contenere un’adeguata replica in grado di superare le deduzioni formulate dal contribuente: in mancanza, l’atto è radicalmente nullo per difetto di motivazione (tra le altre, Cassazione, sentenza n. 26638 del 18/12/2009 e sentenza n. 4624 del 22/02/2008).