5 Marzo 2016

Accertamento da studi: inutili le censure generiche

di Comitato di redazione
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Nonostante siano passati molti anni dall’introduzione dello strumento degli studi di settore, ed altrettanti ne siano trascorsi da quando la Cassazione ha consolidato il proprio orientamento in merito all’utilizzo dello strumento in fase accertativa, sembra che ancora molti concetti siano da chiarire. Questo, almeno, quanto si ricava dalla lettura della sentenza n.4151 depositata lo scorso 2 marzo 2016; ovviamente, si tratta di contenzioso già incardinato in annualità passate, per le quali la sensibilità degli operatori era certamente meno elevata rispetto all’attuale.

La vicenda, in sé, non appare molto strana: l’Ufficio accerta un contribuente sulla scorta del disallineamento tra il dichiarato e la risultanza di Gerico, si attiva un contraddittorio (normalmente inutile quanto apparente), il contribuente impugna e la CTP accoglie il ricorso.

In tale prima fase, è stato valorizzato il fatto che la società accertata lamentasse di non riconoscersi nel cluster in cui lo studio l’aveva collocata e di avere patito delle conseguenze negative sui mercati esteri, per effetto dell’introduzione dell’euro.

L’Agenzia appella la sentenza ed ottiene accoglimento delle proprie doglianze in Regionale; il contribuente impugna e si arriva in Cassazione.

Scorrendo il testo della sentenza si ritrovano ampi stralci che, oramai, rappresentano una sorta di fac-simile riproposto in tutte le pronunce sull’argomento:

  • gli studi di settore rappresentano unicamente delle estrapolazioni statistiche;
  • la motivazione dell’avviso di accertamento si determina in esito al contraddittorio, momento nel quale il contribuente dovrebbe indicare i motivi per i quali la ricostruzione dello studio non è adatta alla sua situazione, ingenerando così in capo all’Ufficio l’onere di replica (non generica);
  • ove il contribuente rimanga inerte, l’Ufficio è legittimato all’invio dell’accertamento sulla base delle risultanze dello studio di settore, a prescindere dalle risultanze contabili e dalla legittimità della ricostruzione operata da Gerico.

Così, nel caso in analisi, il contribuente si era limitato a contestare il fatto che il cluster cui era stato “attribuito” dal software lo rappresentasse adeguatamente, senza però argomentare le motivazioni di tale “insufficienza”; ciò non è stato ritenuto sufficiente e, pertanto, la decisione della CTR favorevole all’Agenzia è stata confermata.

Sull’aspetto dell’onere a carico delle parti, però, ci pare opportuno svolgere ulteriori riflessioni, poiché si rinvengono, anche nella giurisprudenza di Cassazione, talune sfumature che non paiono per nulla irrilevanti.

Se guardiamo la posizione del contribuente, riscontriamo come non sia talvolta facile assolvere ad un onere in positivo di “demolizione” dello studio di settore, per il semplice fatto che il medesimo (nonostante si affermi il contrario) non è costruito in modo trasparente o, quantomeno, non risulta facilmente decrittabile da un contribuente di ordinaria diligenza.

Cosa significa, allora, cercare di contrastare il risultato dello studio? Il fatto che non bastino affermazioni generiche è confermato dalla citata sentenza; non resta, allora, che svolgere un defatigante lavoro di minuziosa contestazione di molti degli elementi presi a base del calcolo. Nell’esempio, se non appare sufficiente affermare che il cluster male rappresenta la situazione del contribuente, sarebbe stato necessario argomentare in merito ai singoli caratteri (quantitativi e qualitativi) che si evincono dalla descrizione del medesimo, ponendo in luce le differenze rispetto alla situazione reale del contribuente. Ma forse non basta, tale lavoro preferibilmente dovrebbe essere completato dalla dimostrazione che, variando il cluster di appartenenza, si sarebbe ottenuto un diverso risultato più favorevole rispetto a quello contestato. Sempre gradite sono le evidenze di situazioni particolari che hanno caratterizzato l’annualità, in modo tale da delineare un quadro differente rispetto a quello di normalità.

Ancora, non va trascurato che in talune sentenze emerge anche il tema della necessaria esistenza di gravi incongruenze, argomento assolutamente delicato ma che non emerge in modo lampante dalle pronunce di legittimità. A noi pare che un accertamento possa giustificarsi solo laddove lo scostamento contestato non sia lieve, per il semplice motivo che il ricalcolo operato dal software deve essere considerato approssimativo e non puntuale. Se si condivide tale riflessione, discende un secondo aspetto: esiste una percentuale minima di scostamento che legittima l’accertamento anche in carenza di giustificazioni del contribuente? Il tema è stato esplorato dalla giurisprudenza, talvolta in senso positivo (a piccoli scostamenti non può seguire accertamento), talvolta in senso negativo (a qualsiasi scostamento può seguire accertamento).

Proprio per il carattere statistico dello studio, ci pare di poter affermare che gli scostamenti debbano essere così classificati:

  • all’interno dell’intervallo di confidenza, non dovrebbero essere rilevanti, in quanto il senso è che in quello spazio si concentra la maggior parte dei contribuenti;
  • oltre l’intervallo di confidenza (ed in relazione al ricavo minimo ammissibile) ci dovrebbe essere uno spazio di tolleranza, che talvolta è stato fatto coincidere con un 7 -10% (in relazione, però, al ricavo puntuale), ed in altre occasioni è stato spinto sino al 20% (sempre in relazione al puntuale).

Detto ciò, le conclusioni di questo intervento possono essere così sintetizzate:

  • un contraddittorio “sterile” appare sempre perdente;
  • il contraddittorio verbale deve trovare adeguato supporto nei verbali redatti con l’Ufficio;
  • eventuali scostamenti “residui” possono assumere – o meno – il carattere della pericolosità in relazione alla sensibilità del giudice, cui comunque spetta la possibilità di discostarsi da quello che è il risultato dello studio di settore.

 

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