2 Ottobre 2015

Accertamenti bancari: una buona difesa comincia dal merito

di Giovanni Valcarenghi
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Sta sempre più affermandosi un principio generale in forza del quale il contribuente, a prescindere dalle pure ragioni di diritto che vanno ovviamente avanzate ed apprezzate, abbia sempre la convenienza a difendersi nel merito contro eventuali contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, cercando di rendere il meno “patologico” possibile il proprio comportamento, segnalando le possibili giustificazioni, evidenziando le storture nel ragionamento, eccetera.

Una conferma di questa puntualizzazione si evince dalla recente sentenza della Cassazione (n. 18126 del 15-09-2015) che si è occupata di vagliare la legittimità di un avviso di accertamento scaturente dalla mancata giustificazione di movimentazioni su conti correnti bancari.

Da quanto si evince dalla pronuncia, una contribuente era cointestataria di un conto corrente con la madre; su tale conto erano state accreditate somme apparentemente non giustificate.

Contro la sentenza sfavorevole della CTR Liguria, la contribuente opponeva tre specifiche doglianze:

  1. la C.T.R. errava avendo ritenuto che l’art.32 del DPR 600/1973 avesse introdotto nell’ordinamento una presunzione legale relativa;
  2. pur a fronte dell’allegazione del fatto che il conto corrente fosse cointestato con la madre, la quale aveva notevoli disponibilità finanziarie, la CTR aveva ritenuta necessaria la prova documentale che le movimentazioni bancarie, contestate dall’Ufficio, fossero riferibili esclusivamente all’altro intestatario del conto corrente mentre, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, la prova poteva essere fornita a mezzo di presunzioni semplici;
  3. la CTR non aveva censurato il comportamento dell’Agenzia che, pur a fronte della cointestazione del conto, aveva recuperato l’intero importo dei movimenti contestati e non solamente il 50%.

Da una valutazione generale, dunque, pare che la strategia difensiva, sin dal primo grado di giudizio, fosse unicamente imperniata su questioni meramente giuridiche (tipologia di presunzioni, validità della prova contraria, ecc.), relegando le sole giustificazioni nel merito alla esistenza di una cointestazione del conto.

Tale strategia, nel caso specifico, non sembra avere fornito grandi frutti e, sullo sfondo, rimane l’impressione che non vi fossero, in realtà, grandi giustificazioni agli apporti contestati.

Infatti, la Corte esordisce subito rilevando la inconsistenza delle censure.

In tema di validità dell’articolo 32 del DPR 600, si ribadisce che, qualora si ravvisino movimentazione sospette dei depositi, si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.

A parere dei Giudici, risulta ormai scontato che gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione; ciò, a prescindere dal fatto che il contribuente sia un privato cittadino piuttosto che un esercente impresa, arti e professioni. In tale ultimo caso, ciò che varia è la possibilità – per l’Ufficio –  di desumere il reddito dai “prelevamenti“. Si è così affermato, in sostanza, che dal semplice versamento sul conto corrente scatta un onere probatorio a carico del soggetto di giustificarne la natura e/o la provenienza.

Sul versante della difesa, inoltre, gli stessi Giudici ricordano che:

  • è certamente ammesso il ricorso alle presunzioni semplici;
  • tali presunzioni, tuttavia, devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (di recente, Cassazione 4585/15).

Per meglio comprendere, non basta sostenere genericamente che le movimentazioni potrebbero essere astrattamente riferibili all’altro cointestatario del conto, pur se dotato di ampia liquidità ed investimenti, ma sarebbe stato invece opportuno:

  • individuare qualche movimentazione direttamente riconducibili al cointestatario;
  • riscontrarne, ad esempio, la periodicità (ad esempio, incasso di un canone di locazione), al fine di escludere anche i successivi apporti di pari importo effettuati nei mesi successivi;
  • ricostruire gli incassi delle cedole dei titoli;
  • ecc.

Insomma, limitarsi a sostenere che quando gli intestatari del conto siano più di uno si determina un obbligo di “certosina” imputazione delle somme all’uno o agli altri da parte dell’Agenzia risulta errato, salvo appunto il caso in cui non si dimostri analiticamente che tutti (o molti, o quantomeno alcuni) i versamenti siano imputabili ad altro soggetto.

Si chiude allora la sentenza riscontrando:

  • l’irrilevanza della circostanza che il conto corrente bancario sia cointestato (così già Cassazione n.21420/12);
  • che nel caso in esame la parte non è stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie poi riprese a tassazione;
  • che la CTR non ha negato la possibilità di difesa con l’utilizzo di una presunzione semplice, ma semplicemente non ne ha apprezzato la gravità, precisione e concordanza (allegazioni generiche e non puntuali riferimenti alle singole operazioni riferibili all’altro cointestatario ed alla causale delle operazioni stesse).

Risultato finale, rigetto del ricorso.

Prima alternativa: non vi erano possibilità di giustificare le movimentazioni bancarie, con la conseguenza che le contestazioni dell’Ufficio fossero fondate.

Seconda alternativa: non ci si è voluti “scomodare” per giustificare le movimentazioni contestate ed in tal caso, la mancanza di atteggiamento trasparente e collaborativo ha determinato, come si diceva in apertura, una posizione rigida e tranciante della Cassazione.